Nawal: una donna normale, di Marcello Mussolin.
Nawal: una donna normale
Per un attimo, immaginate di vivere in Marocco.
Non il Marocco turistico, quello per intenderci, del circuito Marrakech, Casablanca, Fes, Tangeri.
Neanche quello cinematografico – ancora – di una Casablanca patinata, di Humphrey Bogart e “suonala ancora Sam” o quello sgarrupato della banda di desperados capitanati da Diego Abatantuono nel film di Salvatores “Marrakech Express”.
Il Marocco della nostra storia è quello del Rif, situato a nord, una regione prevalentemente montagnosa – quasi un prolungamento della Spagna cui geograficamente sembra appartenere – che conosciamo, forse, per essere sì la regione di Tangeri, ma anche di Ceuta e Melilla, le due città spagnole in territorio marocchino, dal quale sono divise da una barriera di filo spinato, pagata alla Spagna dalla Comunità Europea.
Una barriera di filo spinato: 3 metri di altezza, protetta con misure di sicurezza impressionanti. Ma lì è già Spagna, primo approdo d’Europa per chi vuol fuggire da guerre, pestilenze, carestie, povertà, e “quindi” da difendere strenuamente per evitare l’invasione.Una regione che vanta il triste primato di 4000 morti nel tentativo di raggiungere con ogni mezzo – naufragando – le coste spagnole tramite lo stretto di Gibilterra, perché respinti, per l’appunto dal filo spinato di Ceuta e Melilla.
In questa regione, ad Al-Hoseyma (o Hoceima secondo altre traduzioni) in particolare, vive Nawal Ben Aissa.
Nawal è una mamma, ha quattro figli, fa la casalinga e si definisce una donna normale.
Nel 2016, poco più di due anni fa, nel Rif scoppia la rivolta. Un pescatore del luogo, Mouchine Fikri, rimane ucciso , schiacciato in un bidone della spazzatura mentre cercava di recuperare un po’ del suo pesce, che gli era stato confiscato dalla polizia marocchina perchè venduto “illegalmente”.
E’ un attimo, si scatenano le proteste e le rivendicazioni, nasce il movimento Hirak. Si chiedono più diritti.
Il diritto di curare i propri malati, per esempio. Un ospedale per i malati di cancro. In quella regione, periferica rispetto a Casablanca in ogni casa – ci dice Nawal – c’è un bambino, un familiare malato di cancro cui sono inibite le cure per la mancanza di strutture. Il governo – come dire – è distratto.
Veramente credo di aver percepito “se ne frega” ma forse è un’impressione.
Una Università per i ragazzi. Nawal, per esempio avrebbe voluto laurearsi – purtroppo non lo può fare – e se non si crea l’Università neanche i suoi figli riusciranno nell’intento.
Diritti… diciamo ciò che per noi rappresenta la normalità nel Rif non esiste.
Ora, state continuando ad immaginare di vivere in Marocco? Forse non è più quel paese che immaginavamo. Io, personalmente, non lo avrei mai detto.
Nel 2017 Nasser Zefzafi, leader di Hirak, viene arrestato e portato a Casablanca, ad oltre 500 chilometri di distanza, per evitare contatti con la sua gente.
Nawal è una donna normale. Ce lo ripete continuamente. E crede di avere dei diritti “normali”: scuole e Università per i suoi figli, abbiamo detto. Ospedali per i malati.
Si leva il grembiule da casalinga e scende per strada, a chiedere giustizia per Nasser, per difendere i diritti dell’uomo: dell’UOMO. Poco importa la sua nazione, il suo colore, la sua religione, la sua razza. Perchè ogni essere umano ha il diritto di vivere la vita con dignità e deve lottare per ottenere questo tipo di vita.
Inizia a parlare a nome di Hirak, di cui diventa una dei portavoce.
Non porta il velo e per questo, ci dice, ci sono donne che la sostengono, altre che la isolano perchè non condividono il suo modo di approcciarsi alla religione. Lì in quel posto ci sono più di 300 associazioni di donne, organizzate o gestite da donne, ma molte non l’hanno mai appoggiata: eppure anche per loro – aggiunge – “passerei notte e giorno interi per difendere i diritti loro ma anche quelli dei loro mariti”, vittime di un paese che impedisce ai cittadini la libera fruizione di attività che a voi “occidentali” appaiono assolutamente “ovvie”.
Quando arrivano i poliziotti per arrestarla, lei si trova ovviamente da sola a casa con i bambini, il padre dei bambini è al lavoro.
Immagino questi bambini: sorpresi, scioccati – come racconta Nawal – di vedere gli agenti di polizia che arrivano per arrestare la mamma. Rimangono soli. A piangere e gridare fin quando non torna il papà, richiamato dai vicini.
Soli. Lasciano soli i bambini arrestando la mamma.
Una scena destinata – purtroppo – a ripetersi. “Ma non potevo accettare questo trattamento per me e per le persone della mia città, del mio paese. Come madre di quattro figli lotto per il loro futuro. Nulla di trascendentale, ho solo chiesto al governo una vita dignitosa e giustizia sociale”.
Ancora oggi, a volte, la bambina di 8 anni si sveglia di notte gridando: psicologicamente sono santi, aggiunge Nawall, cominciando a piangere.
Queste lacrime non sono lacrime di debolezza, mi ammonisce, ma di amore: sono stata forse ingiusta con i bambini, ma non mi pento:quello che sto facendo servirà per creare loro un futuro meraviglioso.
Le bloccano facebook, i social, perché attraverso i social promuove le iniziative, le istanze del movimento Hirak. La condannano a 10 mesi per “istigazione a commettere reato” , nonostante il fatto che Hirak sia un movimento pacifico.
La isolano, la minacciano e perché?
Chiede solo vita dignitosa e giustizia sociale.
Nawal nei giorni scorsi è stata a Palermo per ritirare il premio Human Right Defender 2018, il prestigioso riconoscimento che Amnesty International Sicilia conferisce ogni anno per premiare coloro che si sono distinti con la propria vita e le proprie attività nella difesa dei diritti umani. Quest’anno, tra l’altro, la premiazione di una donna come Nawal assume particolare rilievo, avvenuta – com’ è stata – in occasione del “Write For Rights 2018”, svoltosi tra il 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza sulle donne, ed il 21 dicembre.
Write For Rights è una maratona di raccolta firme globale che Amnesty International ogni anno dedica a chi non ha voce, ai prigionieri di coscienza, ai difensori dei diritti umani. Quest’anno è dedicato alle donne, a 6 donne coraggiose che si sono battute e si battono per l’affermazione dei propri diritti e di quelli dei propri familiari e di tutti. (*)
Mi fa sorridere il fatto che a Palermo l’intervista a Nawal, che ho provato a sintetizzare nelle righe che precedono, l’ha fatta questo nostro blog dopo che in Francia, dove si era recata per parlare di verità e giustizia, è stata intervistata da “Le Monde “ e dalla televisione francese. Tra l’altro, rabbrividendo, mi racconta di come nei giorni precedenti il nostro incontro, si fosse recata, per incontrare la sorella, a Strasburgo, dove è avvenuto l’attentato che ha causato la morte, tra gli altri, del nostro Antonio Megalizzi, il ragazzo “che sognava un’Europa senza confini”.
Ma riesco a “vendermi” in quanto componente del gruppo storico di Palermo, il c.d. 44 attivo fin dalla fine degli anni 70.
E’ stata ospite, inoltre, di altri gruppi di Amnesty a Roma, Brescia, Venezia ed infine qui da noi a Palermo per ritirare il premio.
Consola sapere che ha trovato una magnifica accoglienza dovunque – cosa di cui, ahimè – dubitavo – con piccoli episodi di gentilezza che ci racconta con piacere, come quando al tavolo del ristorante le hanno cambiato il piatto perché è presente il maiale, o anche il vino presto sostituito dall’aranciata.
Consola sapere che ci sono donne così.
Marcello Mussolìn
(*)
(la foto di copertina è presa dal sito internazionale di Amnesty International, quelle a corredo dell’articolo sono mie, tranne ove indicato)