IO VIVO IN UNO STRANO MONDO, di Marina Paleologo
Io vivo in uno strano mondo
Stiamo organizzando il matrimonio di mia figlia.
Lei non vuole le classiche bomboniere, ma desidera che tutti gli invitati abbiano un ricordo di quel giorno.
Così ci rechiamo al vivaio Ibervillea per acquistare delle piantine grasse da offrire agli ospiti.
Mi rendo subito conto che le persone che lavorano lì, tutte gentilissime e disponibili, hanno problemi di salute mentale ed improvvisamente, col pensiero, torno ad un giorno di molti anni fa, quando questo luogo era il manicomio della Vignicella.
Siamo alla fine degli anni’80. Io curavo la realizzazione di un notiziario, fatto da bambini, per un’emittente locale.
Un giorno un giornalista mi chiese se volessi accompagnarlo al manicomio, per un servizio.
Andai e fu un’esperienza forte e toccante.
All’interno, nei corridoi squallidi, vagavano esseri umani con lo sguardo perduto nel vuoto. C’era chi rideva, chi ballava, chi ripeteva ossessivamente lo stesso gesto.
Altri, seduti a un tavolo non proferivano parola.
Erano i matti!
All’esterno, lungo i viali lussureggianti di verde, altri fantasmi si muovevano come automi.
Qualcuno aspettava un sorriso, un altro ci tendeva la mano. C’era chi si inginocchiava, chi dormiva sopra una panchina.
Fantasmi senza passato ne futuro, chiusi in uno strano mondo, in un limbo, nel quale era quasi impossibile penetrare.
Stavamo per andare via quando ci fu presentata una donna, che si intrattenne con noi garbatamente.
Era Maria Fuxa, poetessa.
Ben truccata, pettinata, elegante, con una borsetta, aveva trascorso quasi tutta la sua vita in manicomio.
Proveniente da una famiglia della buona società, Maria tentò il suicidio per un tradimento subito e da quel momento venne rinchiusa in manicomio, da dove uscì e rientrò più volte nel corso della sua vita.
Ospite di quell’ “albergo “,Maria cercò di dare voce agli invisibili e si rifugiò nella poesia, unica sua via di scampo.
Fonti esterne: