Eracleonte è ancora tra noi. E combatte le fake news, di Marcello Mussolin
Eracleonte è ancora tra noi?
E’ passato un anno da quando è cominciato il periodo di sofferenza legato alla pandemia, è passato un anno da quando le notizie del giorno in Italia hanno smesso di concentrarsi su presunte invasioni di migranti, su complotti relativi all’11 settembre, su terre piatte, scie chimiche e “quant’altro” (per usare un modo di dire che – anch’esso – è diventato virale quasi come il “piuttosto che” utilizzato del tutto a sproposito) per concentrarsi su pandemie, virus, vaccini e resilienza. Bel salto, no?
Resilienza, “che” poi non sapevamo neanche cosa volesse dire prima che ce la impolpettassero in mille modi, quando ci sembrava che affacciarsi a cantare dalle finestre fosse atto eroico e – appunto – resiliente.
E se la resilienza era accompagnata da epiche poesie di soldati in marcia, di bambini malati e di donne coraggiose, meglio ancora.
Peccato che fossero tutte fake…
Ed allora, commentò un giorno il nostro Marcello Troisi, sapete che c’è? Che la poesia la scrivo io, anzi la faccio scrivere ad Eracleonte, autore gelese del 230 a.c. del tutto inventato, ovviamente!
Bufalissima, invero, ma … chi ci segue sa com’è finita, mentre chi era distratto può leggere i commenti nei nostri “pezzi” di allora o in rete. Non vi stupite se poi ci trovate le interviste di Rai1, Canale5, la7 e così via… Le fake si fanno bene, e che diamine!
E’ passato un anno, dicevamo, ma Eracleonte è ancora vivo e vegeto, anzi, ci ha coinvolto in una lotta alle bufale che noi di Palermo Felicissima avevamo già nel DNA, ma che fino ad allora avevamo tenuta sopita, occupati a far capire che felicissima, detta di Palermo, non è solo un augurio.
E’ proprio in quest’ottica che Era e tutti noi siamo stati invitati a parlare di quell’esperienza e di fake news dai ragazzi dell’IIS Almeyda- Crispi “capitanati” dalla battagliera prof. Anna Rosa Crivello, supportata dal prof. Daniele Giacalone che ha dato all’incontro, ahimè virtuale, un’organizzazione perfetta e sotto il vigile sguardo del D.S. prof. Luigi Cona, che ancora una volta ringraziamo per l’opportunità offerta.
Il tema era, come detto, le fake news, bufale, notizie farlocche, fasane o come le volete chiamare. Fate voi.
Di mio, proverò a fare un riassunto di quanto ci siamo detti: premesso che i ragazzi avevano approfondito l’argomento su Dossier di Zanichelli, e quindi erano preparatissimi più di noi, pensavamo si parlasse – a parte del racconto della bufala di Eracleonte – solo della vaccinazione, di cui – naturalmente – non sappiamo un bel niente salvo che non diamo ascolto a nessuna campana che non sia supportata da dati.
Invece gli argomenti sono stati vari ed interessanti, dalla letteratura al cinema, dal teatro alla storia: “qual è stata la fake più fake della storia”, ci hanno – ad esempio – domandato e la risposta non poteva che essere legata alle guerre, scoppiate SEMPRE perché le cause scatenanti sono legate a fatti o notizie quantomeno “gonfiati” se non del tutto inventati: il ricordo delle inesistenti armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, causa della seconda guerra del Golfo, è ancora vivo.
Dati e fatti, abbiamo detto: il primo riscontro alla tempesta di domande dei ragazzi, infatti, è stata questa. Fatti. Per riprendere un testo che ci siamo permessi di suggerire alla prof. Crivello, per combattere le fake news “non c’è altra strada … che questa: boots on the ground, come dicono gli americani, scarponi a terra e camminare” [1] .
Ripeto, è un riassunto, per comodità di esposizione non è il caso di riportare domande e risposta, e spero che i ragazzi si possano riconoscere perché – qui sì – non c’è nulla di alterato rispetto a quanto ci siamo detti.
Dentro la notizia falsa c’è sempre qualcosa di vero che la rende verosimile, per esempio nomi, fatti storici o culturali, ma sulla realtà viene costruito un castello di carte che però nessuno si ricorda di far cadere soffiandoci.
La attuale situazione delle notizie sui vaccini è emblematica: su un fatto “oggettivo” quale possono essere gli effetti secondari, sono state costruite delle conseguenze del tutto arbitrarie ma che, esposte in determinato modo e presso determinati media – in particolar modo i social – vengono considerate come attendibili, specie se supportate dalle testimonianze di illustri medici.
Che poi per parlare di vaccini si intervisti un climatologo, che forse ne capisce quanto me, al popolo dei social poco importa, la notizia ormai è spacciata per vera. Inoltre, se il particolare alterato è di difficile riconoscibilità, il danno ormai è fatto.
La poesia di Eracleonte – per esempio – è vera: l’ha scritta Marcello. E’ il nome che non esiste, ma nessuno si è – inizialmente – preoccupato di verificarne l’esistenza.
Ma, perché si arriva alla disinformazione e perché è difficile difendersi?
Probabilmente di base c’è un contesto sbagliato già in termini di educazione parentale, quando non scolastica: ogni famiglia, ogni scuola, ogni società educa le persone all’interno della propria cultura. Se, all’interno di questo contesto ad un bambino, ad un adolescente, ad uno studente dotato magari di intelligenza vivace ma privo di esperienza, di quell’esperienza che gli permette di confrontarsi con altri contesti, viene data più o meno consapevolmente una informazione errata per esigenze o credenze morali, politiche, religiose, non gli si permette un equo confronto con la realtà dei fatti.
Una famiglia che volesse mettere in guardia i propri figli dalle insidie della cattiva informazione o dei social, dovrebbe innanzitutto educare i ragazzi ad affrontare questo problema. Sappiamo che spesso non è così. Mancanza di tempo, di voglia, di dialogo, scavano un solco profondo tra generazioni.
Allo stesso modo la scuola – specie in questo momento di chiusura e di dad – dovrebbe insistere sul corretto uso degli strumenti informatici, in particolar modo dei motori di ricerca o siti di fonti on line, che riportano “stupidamente” notizie raccattate qua e là in rete e privilegiate perché in ordine di apparizione non già in relazione alla loro veridicità, quanto al numero delle visualizzazioni.
Visualizzazioni che, di frequente, sono tante più quanto la notizia è virale, laddove virale è spesso sinonimo di fake.
Cioè, per dirla ancora con il libro sopra citato, Ai giovani studenti si deve insegnare la scienza, inclusa la scienza evolutiva, e si deve insegnare anche il pensiero critico, che include imparare come verificare un’asserzione in base alla qualità delle prove che la supportano.
Il perché si arriva alla disinformazione è tema lungo e che meriterebbe fiumi di inchiostro. O di toner della stampante.
Da un lato (il nostro incontro si è soffermato maggiormente sull’aspetto informativo) evidente è l’intento commerciale di spingere le visualizzazioni sul sito, ancorchè giornalistico o pseudo giornalistico, perché pieno di banner pubblicitari: è il fenomeno del click baiting, di cui i ragazzi si son resi conto esaminando titoli – che sono redatti da specifico professionista e non dal giornalista autore del pezzo – che spesso hanno poca o nessuna attinenza con l’articolo che dovrebbero illustrare.
Ciò anche per compensare la perdita di fette di mercato del giornale “stampato”, ormai scarsamente letto, ed attirando investimenti pubblicitari sul sito internet.
Ancor più pericoloso, invece, quando la notizia falsa o esagerata venga fatta girare con chiaro intento manipolatorio, quello di confondere le persone, ingenerare il dubbio, manovrarle. E’ il campo tipico della politica, di coloro che utilizzano notizie falsate per generare consenso.
Infine un ulteriore scopo è quello della profilazione del potenziale consumatore. Dal riscontro dato alle notizie i sistemi sono in grado di creare delle personalizzazioni di offerte commerciali che, proprio per la loro personalizzazione, spesso colgono nel segno invogliando ad acquisti non necessariamente prioritari.
La trattazione sopra esposta non è per nulla esaustiva e non può esserlo, in due righe di un blog. Ma non possiamo non concludere questo nostro intervento se non sintetizzando quelle che sono le raccomandazioni per riconoscere le fake emerse dal dibattito ed effettuare un corretto “fact checking” così come suggerito ai ragazzi:
Titoli: occhio al titolo, al “gridato”, all’urlo. Come spesso uso dire, se una notizia è incredibile è perché… lo è: in-credibile, lo dice la parola stessa. Non credeteci se non dopo aver verificato la
Fonte: cercate di verificare sempre e comunque le fonti della notizia. Un buon metodo per capire se affidabile o meno – qualora non conosciuta – è cercare la fonte sui siti di debunking o fact checking. Al momento in cui scrivo, una velocissima ricerca ha evidenziato tanti siti fasulli il cui elenco ha riempito un paio di fogli a4. Se ciò non bastasse, cercate
Altre Fonti: non fermatevi mai alle apparenze. Un mio metodo è fare copia incolla della notizia, aggiungere la parolina magica “fake” e immetterla su google. Si scoprono un sacco di belle cose…. Inoltre, un metodo veloce è controllare immediatamente
l’url (spunta sempre, sotto ogni notizia è il nome della pagina dove vengono riportate le notizie). Spesso riportano nomi di siti “famosi” storpiati a bella posta (celebre il caso di “www.ilfattoquotidaino.it, che però descrive sè stessa come pagina satirica, in luogo di “il fatto quotidiano”). Spesso i siti farlocchi si basano sulla circostanza che molti sbagliano nel digitare il nome del sito – e magari canale5news diventa canile5news – e registrano quindi nomi molto simili che diventano veri e propri specchietti per le allodole.
il testo: leggendo il quale spesso ci si accorge della estrema fretta, ignoranza e approssimazione con la quale è stato redatto. Probabilmente è una traduzione automatica da altra lingua. Inoltre, importante verificare anche le
Date. Molto, molto spesso ritornano a galla notizie vecchie di mesi, se non di anni ma vengono condivise e – soprattutto – commentate, ovviamente in negativo, come se fossero fresche di giornata.
L’elenco non è completo, ma è una prima base per affrontare con un po’ di attenzione tutte le notizie che circolano sui social, Facebook in primis.
Eracleonte dunque è ancora vivo, basta cercare su google, e qualcuno ancora ci crede. E’ stato un esperimento sociale ed è riuscito. Adesso, però, è il caso che vada a dormire, ed in questo confidiamo sulle nuove generazioni alle quali non ci stancheremo mai di riportare le nostre esperienze.
(foto, prof. Anna Rosa Crivello)
[1] Petrini, Valentina: Non chiamatele fake news