“Antonio Montinaro: la paura è qualcosa che tutti abbiamo. E’ la vigliaccheria che non si capisce. Io, come tutti gli uomini, ho paura ma non sono un vigliacco” di Paola Pace La Pegna
La paura è qualcosa che tutti abbiamo. E’ la vigliaccheria che non si capisce. Io, come tutti gli uomini, ho paura ma non sono un vigliacco”.
Questa frase l’ho sentita qualche giorno fa, nell’ auditorium del Liceo Scientifico Statale Ernesto Basile, durante un incontro per la legalità (non sono mai abbastanza) con Tina Montinaro, la moglie di Antonio, caposcorta del Giudice Falcone, che ha condiviso l’amara sorte del ‘suo’ giudice e della moglie Francesca, insieme ai suoi compagni, Rocco e Vito
Queste parole sono proprio di Antonio. Le disse in una intervista poco prima del 23 maggio e sua moglie Tina, da trent’anni le ripete in tutte le scuole d’ Italia, raccontando la storia di Antonio, che grazie a lei, non è mai andato via del tutto.
Una grande donna Tina… Una donna che da allora non si è mai fermata, raccontando pressoché ogni giorno, col suo accento che dopo tanti anni di Sicilia è ancora così gradevolmente napoletano, con la sua voce che cattura, la sua storia e la storia di quel marito che mai ha dimenticato, nonostante siano stati spostati ben poco…
Antonio e Tina: leccese lui, napoletana lei, si incontrano a Palermo, giovanissimi, lei in città da qualche anno, lui trasferiti da poco dalla questura di Bergamo. Sono giovani, sono belli, sono innamorati. Decidono di bruciare le tappe (istinto?), Si sposano subito ed in poco più di due anni diventano genitori di due maschietti, Gaetano e Giovanni (nome scelto proprio per la stima che Antonio aveva per il giudice)
Non hanno molti soldi, Antonio e Tina. Oggi lei racconta che nessuno dei ragazzi della scorta aveva indennità di rischio superiori a qualunque altro collega. Chi rischiava la vita, certamente non lo faceva per denaro.
Vivono rubando attimi di serenità, i Montinaro, tra una scorta e l’altra, tra un turno e l’ altro. Quei turni che si sapeva quando iniziavano ma mai quando fossero finiti anche se, dice Tina, Antonio quando tornava non era mai troppo stanco per giocare un po’ coi bambini…
Sereni, fino al 23 maggio 1992, quando Antonio cambia volontariamente il turno perché vuole andare lui a prendere il ‘suo’ giudice all’ aeroporto…
Mattina normale fino a mezzogiorno, quando saluta i bambini, bacia Tina e va via.
Lei non lo vedrà mai più, neanche in una bara (perché di lui resterà appena un pezzetto di maglia per poter essere riconosciuto, e di questo si occuperà un collega impietosito da quella giovane moglie che ancora non aveva colto il senso della tragedia).
Lo sente verso le 16, le chiede dei bambini
“Tutto a posto. Quando torni?”
“Non lo so,non mi aspettare…”
Da allora, da immediatamente dopo essersi resa conto di essere diventata vedova, lei non si è mai fermata. Avrebbe potuto tornare a Napoli, andarsene da questa città che così tanto le ha tolto, ma ha scelto di restare perché “…sono le mogli dei mafiosi che si nascondono, le mogli dei poliziotti devono andare a testa alta…”
Tina, che ha cresciuto i due figli tra un auditorium ed una piazza, sempre parlando ai ragazzi, che oggi è nonna (di Antonio, figlio di Gaetano) ed ancora parla agli studenti. Quelli piccoli, quelli per cui la strage di Capaci è solo storia, per quanto contemporanea. Un brutto evento italiano incastrato tra il crollo del Muro di Berlino e la strage delle Torri gemelle
Nell’auditorium del liceo c’ erano delle prime.
Quattordicenni… mi è venuto da pensare che era possibile che Tina Montinaro avesse parlato pure a qualcuno dei loro genitori, quando avevano la stessa età.
Tina, ancora oggi indomita, anche se le amarezze non sono mancate, in questi anni. Tina, che con la schiettezza tipica della sua terra racconta di quante volte si è sentita abbandonata, e poi si illumina raccontando del ‘Giardino della Memoria’, un pezzetto di terra volutamente senza cancellate né reti di protezione, aperto a tutti, sempre, proprio sotto il punto dell’ autostrada saltata per aria, un giorno abbandonato, oggi pieno di ulivi (ed ognuno ha il nome di una vittima della mafia), il cui olio quest’anno è stato benedetto dai vescovi di Palermo e provincia, e sarà usato per le funzioni religiose.
E racconta che lì, come ogni anno, il 23 maggio aspetterà le 17:57. E sarà la trentesima volta…
Ce l’ha messa tutta, Tina, per far capire a quei ragazzini che quello che stava raccontando non era solo un capitolo di storia …
Li ha interessati, li ha spronati, li ha fatti ridere anche, mantenendo sempre fermo lo stesso punto:
La mafia non è mai morta del tutto e vuole rialzare la testa. Non permettiamolo.
Della Croma corazzata che saltò in aria è rimasto ben poco, tutto in una teca. Si vede però bene ancora il contachilometri. Si è fermato al chilometro 10287.
Oggi questa cifra è incisa nel braccialetto che possiedono molti degli iscritti all’associazione fondata da Tina, la Quarto Savona 15, che era il nome in codice della Croma Marrone dove stavano Antonio, Rocco e Vito.
Tina ha chiuso il suo appassionato intervento dicendo che tutti coloro che morirono quel giorno non si sono fermati a quel chilometro. Camminano ancora.
“La paura è qualcosa che tutti abbiamo. E’ la vigliaccheria che non si capisce.
Io, come tutti gli uomini, ho paura ma non sono un vigliacco”.
Questa frase l’ho sentita qualche giorno fa, nell’ auditorium del Liceo Scientifico Statale Ernesto Basile, durante un incontro per la legalità (non sono mai abbastanza) con Tina Montinaro, la moglie di Antonio, caposcorta del Giudice Falcone, che ha condiviso l’amara sorte del ‘suo’ giudice e della moglie Francesca, insieme ai suoi compagni, Rocco e Vito
Queste parole sono proprio di Antonio. Le disse in una intervista poco prima del 23 maggio e sua moglie Tina, da trent’anni le ripete in tutte le scuole d’ Italia, raccontando la storia di Antonio, che grazie a lei, non è mai andato via del tutto.
Una grande donna Tina… Una donna che da allora non si è mai fermata, raccontando pressoché ogni giorno, col suo accento che dopo tanti anni di Sicilia è ancora così gradevolmente napoletano, con la sua voce che cattura, la sua storia e la storia di quel marito che mai ha dimenticato, nonostante siano stati spostati ben poco…
Antonio e Tina: leccese lui, napoletana lei, si incontrano a Palermo, giovanissimi, lei in città da qualche anno, lui trasferiti da poco dalla questura di Bergamo. Sono giovani, sono belli, sono innamorati. Decidono di bruciare le tappe (istinto?), Si sposano subito ed in poco più di due anni diventano genitori di due maschietti, Gaetano e Giovanni (nome scelto proprio per la stima che Antonio aveva per il giudice)
Non hanno molti soldi, Antonio e Tina. Oggi lei racconta che nessuno dei ragazzi della scorta aveva indennità di rischio superiori a qualunque altro collega. Chi rischiava la vita, certamente non lo faceva per denaro.
Vivono rubando attimi di serenità, i Montinaro, tra una scorta e l’altra, tra un turno e l’ altro. Quei turni che si sapeva quando iniziavano ma mai quando fossero finiti anche se, dice Tina, Antonio quando tornava non era mai troppo stanco per giocare un po’ coi bambini…
Sereni, fino al 23 maggio 1992, quando Antonio cambia volontariamente il turno perché vuole andare lui a prendere il ‘suo’ giudice all’ aeroporto…
Mattina normale fino a mezzogiorno, quando saluta i bambini, bacia Tina e va via.
Lei non lo vedrà mai più, neanche in una bara (perché di lui resterà appena un pezzetto di maglia per poter essere riconosciuto, e di questo si occuperà un collega impietosito da quella giovane moglie che ancora non aveva colto il senso della tragedia).
Lo sente verso le 16, le chiede dei bambini
“Tutto a posto. Quando torni?”
“Non lo so,non mi aspettare…”
Da allora, da immediatamente dopo essersi resa conto di essere diventata vedova, lei non si è mai fermata. Avrebbe potuto tornare a Napoli, andarsene da questa città che così tanto le ha tolto, ma ha scelto di restare perché “…sono le mogli dei mafiosi che si nascondono, le mogli dei poliziotti devono andare a testa alta…”
Tina, che ha cresciuto i due figli tra un auditorium ed una piazza, sempre parlando ai ragazzi, che oggi è nonna (di Antonio, figlio di Gaetano) ed ancora parla agli studenti. Quelli piccoli, quelli per cui la strage di Capaci è solo storia, per quanto contemporanea. Un brutto evento italiano incastrato tra il crollo del Muro di Berlino e la strage delle Torri gemelle
Nell’auditorium del liceo c’ erano delle prime.
Quattordicenni… mi è venuto da pensare che era possibile che Tina Montinaro avesse parlato pure a qualcuno dei loro genitori, quando avevano la stessa età.
Tina, ancora oggi indomita, anche se le amarezze non sono mancate, in questi anni. Tina, che con la schiettezza tipica della sua terra racconta di quante volte si è sentita abbandonata, e poi si illumina raccontando del ‘Giardino della Memoria’, un pezzetto di terra volutamente senza cancellate né reti di protezione, aperto a tutti, sempre, proprio sotto il punto dell’ autostrada saltata per aria, un giorno abbandonato, oggi pieno di ulivi (ed ognuno ha il nome di una vittima della mafia), il cui olio quest’anno è stato benedetto dai vescovi di Palermo e provincia, e sarà usato per le funzioni religiose.
E racconta che lì, come ogni anno, il 23 maggio aspetterà le 17:57. E sarà la trentesima volta…
Ce l’ha messa tutta, Tina, per far capire a quei ragazzini che quello che stava raccontando non era solo un capitolo di storia …
Li ha interessati, li ha spronati, li ha fatti ridere anche, mantenendo sempre fermo lo stesso punto:
La mafia non è mai morta del tutto e vuole rialzare la testa. Non permettiamolo.
Della Croma corazzata che saltò in aria è rimasto ben poco, tutto in una teca. Si vede però bene ancora il contachilometri. Si è fermato al chilometro 10287.
Oggi questa cifra è incisa nel braccialetto che possiedono molti degli iscritti all’associazione fondata da Tina, la Quarto Savona 15, che era il nome in codice della Croma Marrone dove stavano Antonio, Rocco e Vito.
Tina ha chiuso il suo appassionato intervento dicendo che tutti coloro che morirono quel giorno non si sono fermati a quel chilometro. Camminano ancora.