Raccontiamo Palermo: l’audace salto del cavalier Pezzinga.

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narrato da Marcello Mussolin

Via Alloro e via Lungarini sono due strade storiche e importanti del centro di Palermo, che si trovano nel quartiere della Kalsa, uno dei più antichi della città. 

Ricche di testimonianze artistiche, culturali e architettoniche, raccontano la storia e l’identità di Palermo. 

Via Alloro prende il nome da un secolare albero di alloro che si trovava in un palazzo nobiliare, il palazzo San Gabriele, che fu abbattuto nel 1704. Lungo questa via si possono ammirare molti palazzi storici, come il palazzo Abatellis, sede della Galleria Regionale della Sicilia, il palazzo Calvello, il palazzo Cefalà, il palazzo Bonagia e molti altri. In questa via si trovano anche due chiese importanti, la chiesa di Santa Maria dell’Itria, detta anche dei Cocchieri, e la chiesa della Gancia, con annesso convento . 

Via Alloro – inoltre – non solo conserva il fascino e la bellezza del passato, ma è anche vivace e animata nel presente, piena com’è di pub e ritrovi. 

Marcello Mussolin per Palermo Felicissima

Via Lungarini collega piazza Marina a via Alessandro Paternostro. Presidiata dai due “eroi” – loro malgrado – della città, Falcone all’inizio su piazza Marina e Borsellino, ancorchè sfregiato (*), al termine del percorso su via Paternostro, la strada prende il nome dal sontuoso palazzo costruito intorno alla metà del XVII secolo da Pietro Bonanno e Scammacca, primo marchese di Lungarini. Il palazzo Lungarini ha una splendida facciata barocca, decorata con statue e stemmi nobiliari. Altri palazzi degni di nota in questa via sono il palazzo Mirto, che conserva intatti gli arredi e le decorazioni di un’antica dimora aristocratica, e il palazzo Sammartino, purtroppo ancora oggi diroccato. 

E così la parte storico-descrittiva l’ho fatta, ma non è stato difficile, il signor Google dà sempre una mano, in questi casi.

Le due strade sono allacciate, come amanti (consentite, fa parte della storia), dal vicolo Lungarini. Vabbè, ora non andate a cercare tutto quello che dico, fidatevi. 

Quando ci fermiamo all’angolo tra via Lungarini e via Paternostro, durante le nostre ormai consuete passeggiate, mi piace raccontare una delle storie dimenticate di Palermo, quella del nobile Pezzinga (o Opezzinga, dipende dalle fonti) e del suo fenomenale salto da un palazzo all’altro. 

No, non è come Tom Cruise in Mission: Impossible. In realtà il buon Pezzinga stava scappando da un marito che lui stesso aveva provveduto a render cornuto. 

Marcello Mussolin per Palermo Felicissima
Pietro

Il protagonista di questa storia è don Pietro Pezzinga, discendente di una nobile e ricca famiglia pisana che si stabilì a Palermo nel XV secolo. Nella Palermo “5a repubblica marinara” (e forse la più importante di tutte) i Pisani – che si spartivano il territorio con veneziani, amalfitani, genovesi, arabi, ebrei, aragonesi e chi più ne ha più ne metta – vivevano nella zona compresa tra la Fieraveccha ed il Cassaro.

Vabbè, tra piazza della Rivoluzione e corso Vittorio Emanuele. 

Avevano addirittura una propria chiesa, originariamente di fronte a quella di San Giorgio dei Genovesi, successivamente alla Guilla (SS 40 Martiri Pisani alla Guilla)

Per essere esatti, e come sapete io sono precisissimo e non mi invento niente, gli Opezzinga/Pezzinga vivevano in quello che oggi conosciamo come Palazzo Cefalà e che già era stato sede della zecca al tempo di Re Alfonso di Aragona tra il 1416 ed il 1456.

Pietro, nobile rampollo di famiglia,  era un gran figlio di cac..

Ricominciamo: Pietro era famoso per il suo fascino e la sua abilità nelle arti amatorie  e per il suo spirito avventuroso e libertino. Amava la vita mondana e i piaceri della carne, e non si faceva scrupoli di sedurre le donne più belle e nobili della città, anche se sposate o promesse ad altri. Pietro sapeva anche divertirsi con il gioco d’azzardo, il vino e la caccia, e non disdegnava le sfide e i duelli. 

Pietro era insomma un uomo perfetto (vi giuro che nei testi che ho confrontato c’è scritto così) , che faceva impazzire tutte le donne di Palermo, ma che non si legava mai a nessuna.

Camilla
Camilla

In via Lungarini viveva Camilla Vassallo, baronessa di Ganzaria e moglie di don Sancio Gravina (in La Duca è descritta come marchesa della Canceria, ma vabbè…) 

Camilla era una donna di rara beltà, che incantava tutti con il suo viso angelico e il suo sorriso dolce. Non lo se è vero, ma mi piaceva e l’ho scritto. 

Aveva degli occhi grandi e luminosi, che esprimevano intelligenza e malizia, e dei capelli biondi e ricci, che le cadevano sulle spalle come una cascata d’oro. Il suo corpo era snello e armonioso, e si muoveva con grazia e leggerezza. 

Il suo portamento era nobile e signorile, e il suo abbigliamento era elegante e raffinato. Camilla sapeva anche conversare con spirito e arguzia, e aveva un gusto raffinato per le arti e le lettere. Era una donna colta e curiosa, che amava apprendere cose nuove e viaggiare per il mondo. Camilla era insomma una donna perfetta, che faceva innamorare tutti i cavalieri di Palermo.

Questo fatto del perfetto/perfetta mi sa che ci sta un po’ prendendo la mano. 

Il Cornutone
Il cornutone

Era andata sposa al Barone di Ganziria, tal Sancio Gravina, uomo di rigida moralità e di grande autorità, che discendeva da una nobile e antica famiglia siciliana che aveva governato su molti feudi e castelli. Il barone era orgoglioso della sua posizione e del suo potere, e pretendeva rispetto e obbedienza da tutti. Aveva sposato Camilla per interesse e per convenienza, e la teneva sotto stretta sorveglianza. Insomma, un vecchio trombone. 

Concludendo: Camilla era un gran pezzo di fi..gliuola e ovviamente il mandrillone non se la lasciò certo scappare: durante il Carnevale del 1572 Camilla cedette alle lusinghe di Pietro e gliela ____________ . Insomma, divennero amanti.

Da quel giorno si incontrarono di nascosto nel palazzo della donna, approfittando delle assenze del marito.

Pietro, confidò Camilla ad una amica, era il mio unico e vero amore, l’uomo che mi ha fatto scoprire la passione e la felicità. Bello come il sole, forte come un leone, gentile come un angelo. Mi amava con tutto il suo cuore, e mi dimostrava il suo affetto con parole dolci e carezze ardenti. Pietro era anche coraggioso e audace, e non temeva nessun pericolo per stare con me. Pietro era il mio eroe, che mi ha salvato dalla noia e dalla tristezza di un matrimonio infelice: era il mio sogno, che mi ha fatto volare con lui tra i tetti di Palermo.

Forse ho esagerato. 

Ma un giorno il barone rientrò in città prima del previsto e la bella Camilla non sapeva come avvertire l’amante che, puntuale come tutte le sere, si presentò al palazzo. Niente, né telefonini, whatsapp. Niente. Abbanniare alla finestra sarebbe stato disdicevole, inoltre.

I domestici avvertirono la presenza di un intruso. Figurati se non lo dicevano a Messer Sancio (ma come si fa? Ma chiamati Nino, Enzo, Pippo, macari Carmelo o Rosario, ma non Sancio…). 

 Don Pietro, evidentemente pronto alla bisogna, consigliò alla donna di gridare “al ladro!” per far credere che lui fosse un malvivente entrato a rubare e quindi salvare il suo onore. 

Così fece la donna.

Ora, il barone era cornuto, ma non fesso, e dunque non ci cascò e mandò i suoi servi a inseguire il fuggitivo. 

mica racconto balle, io

Pietro, però, che era agile come un gatto, corse verso il balcone e vedendo non potere altrimenti scampare dalle mani de’ nemici, saltò sul tetto della casa di fronte, attraversando la strada di larghezza di due canne (sono circa 4 metri. Alla Fieravecchia ancor oggi è visibile una tavola di conversione tra le antiche misure e quelle “imposte” dopo la conquista della Sicilia da parte di Garibaldi) 

Il salto fu così prodigioso che tutti rimasero a bocca aperta. Poi continuò a saltare da un tetto all’altro, finché non si perse nella notte. Il barone rimase così furioso che si mise a urlare come un pazzo, mentre Camilla fingeva di essere spaventata e dispiaciuta. Da allora il posto dove Pietro fece il suo incredibile salto si chiama il salto del Pezzinga, e tutti i palermitani lo ricordano come un esempio di coraggio e di amore.

Il salto del Pezzinga in una rara foto dell’epoca – Courtesy of Novella XVI

Ed al Barone rimase la fama di cornuto.

Ai giornali scandalistici dell’epoca ebbe a dichiarare: Pietro Pezzinga è il mio peggior nemico, l’uomo che mi ha rubato l’onore e la moglie. Arrogante e presuntuoso, non fa altro che vantarsi delle sue conquiste amorose e delle sue imprese cavalleresche. Pietro mi odiava con tutto il suo animo, e mi sfidava con parole ingiuriose e gesti provocatori, ma era anche un codardo e un traditore, che si nascondeva dietro le spoglie di un ladro per entrare nel mio palazzo. 

A noi piace, però, ricordarlo com’era (no, questo è Guccini, scusate…) con un sonetto composto da un poeta dell’epoca (Antonio Veneziano, Giovanni Meli ?  attribuzione incerta) 

Quando nel cor mi scende il dolce foco 

che m’accende d’amor per la mia bella, 

non veggio in terra cosa ch’io non chella 

per star con lei in un sol loco un poco.

Ella è ‘l mio sol, ch’ogni mio ben m’inoco, 

e ‘l mio bel fior, ch’ogni altro fior rubella; 

e quando altrui saluta con favella 

gentil, mi par ch’un angiol parli o poco.

Ma quando ‘l suo signor torna improvviso, 

e ‘l nostro amor scoprir si vuol geloso, 

io fuggo via con salto audace e ardito.

E mentre volo per l’aria leggiero, 

mi par d’esser un falcon di buon volo, 

che lascia il nido per seguir l’amero.

A presto per i prossimi racconti. Ma cosa czz vuol dire c’ogni mio ben m’inoco?

Segue ampia e documentata galleria fotografica

(*) http://www.palermofelicissima.it/2022/10/02/voglio-vincere-di-marcello-mussolin/

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