La nonna Nina, di Maria La Bianca
La nonna Nina abitava in via Cavour.
Via di palazzi antichi, testimoni di un’epoca più antica di me, felicissima.
Anche il suo era un palazzo antico. Con un portone di legno, grande, con i battenti di bronzo sulla faccia. E ci potevi entrare con la macchina, da dove prima, mi raccontava mamma, entrava la carrozza. Per arrivare alla scalinata di marmo con le nicchie e le statue, si passava dalla guardiola del portinaio. O portinaia, non ricordo.
Ma c’era l’atrio, luminoso. Scalini alti e grigi, larghi, dove io saltavo per arrivare in cima facendo a gara con le mie sorelle, portavano davanti alla porta dell’appartamento.
Nell’ingresso, grande come un soggiorno di oggi, un animale impagliato, forse una gru, la cappelliera, la rastrelliera per gli ombrelli, e porte su tre lati.
Dentro, la memoria si perde nel silenzio delle mie peregrinazioni nello studio con i suoi mobili imponenti, tra le poltrone in pelle del soggiorno, aperto sui due corridoi, la sala da bagno, così grande da restare vuota nel ricordo, eppure anche lì arrivava la musica da camera della filodiffusione.
Un corridoio stretto conduceva alle camere della nonna e degli zii e ancora più in alto, in piccole stanze disabitate, attraverso una porta, piccola, e una scala, stretta.
Il salone era un mondo incantato e proibito di vetrine e divani, regali dal viaggio, tra tutti un sombrero ricco di addobbi.
Sono tornati dal Messico gli zii, sposini freschi.
Altra storia la cucina, o le cucine. Stanze su stanze a seguire, spazi che si aprono enormi e restano grandi per me anche ora che sono diventata grande.
Perché non ci sono più, loro, ora che non sono più piccola, io.
Sui tetti i gatti da stare a guardare mentre saltano, io col naso ai vetri delle grandi finestre da cui, se vuoi, puoi saltarci anche tu sui tetti. La sala da pranzo. Buia. Appena entri c’è il mobile, alto, con i cassetti da cui mi è permesso prendere le posate e i tovaglioli, di stoffa. La grande tavola sta al centro, come un’isola. C’era davvero una pedana, o sono io che l’ho costruita nei miei ricordi, per salirci su?
Noi tutto intorno e la nonna a capotavola col campanello. Ha chiamato, signora? La veranda, con la sua vetrata dipinta secondo il gusto di un’epoca nuova e già così lontana, è spazio neutrale tra l’oscurità intorno al desco e le corse in bici, fuori, intorno al pozzo di luce di un più modesto palazzo, nel terrazzo che lo sovrasta. E che resiste, oggi, all’ombra del nuovo che avanza, incurante dei miei ricordi.
Fuori, posso cantare a squarciagola, mentre pedalo, attenta a non finire sulle piante, sistemate in un angolo su quello che oggi ritrovo nei giardini pubblici e nelle esposizioni dei fiorai. Tre o forse quattro gradini in ferro verde, che si stringono in alto. Dentro tutto si fa piano. O di nascosto.
Seguendo un miagolio io e le mie sorelle scopriamo una porta e si apre un altro susseguirsi di stanze vuote e ancora più buie. Dimenticate.
Da dimenticare con il dolore della perdita.
Servivano a una famiglia più grande, che non ho conosciuto.
Sento le voci arrampicate su una scala, quella mia e di mia cugina stavolta, perse tra cianfrusaglie di stoffa e altri cimeli di un mondo antico e conservato in bauli e cassapanche.
Corri, scendi, scappa.
E mi affaccio ancora sull’atrio grande per tirare su il paniere dal corridoio dove sta, su una colonnetta messa a posta per quello, il telefono con il suo taccuino per gli appunti e una matita. O forse era una penna. Io ricordo meglio le mie corse per rispondere. Il corridoio come pista. Attenta che non passi la nonna. Alta. Grande.
Come tutto in quella casa grande di un palazzo grande che non c’è più se non nella memoria della mia, felicissima, infanzia.
http://www.palermofelicissima.it/2018/01/20/cantieri-culturali-palermo-maria-la-bianca/
http://www.palermofelicissima.it/2017/10/29/ci-vediamo-in-vucciria-di-maria-la-bianca/
Che dire di Maria?Io l’apprezzo molto e anche questo suo nuovo racconto mi ha coinvolto e mi ha trascinato in una dimensione fatta di ricordi esuggestioni
Complimenti Maria.
Molto bello!
Bellissimo. Condivido l’emozione ed i ricordi, anche se di un altro palazzo. Le case delle nonne nei palazzi d una volta, oggi spariti, ma resistiti prima del boom edilizio ad almeno 4 guerre e generazioni. Grazie.