Guida Galattica per sopravvivere a Palermo, ovvero, cosa non fare quando si arriva a Palermo di Marcello Mussolìn
Guida Galattica per sopravvivere a Palermo, ovvero, cosa non fare quando si arriva a Palermo a meno di non passare per turisti fai-da-te no alpitour ahiahiahi…
Ora, chi è giovane non lo sa che cosa era il turista fai da te, per cui ecco il link:
Vi giuro che Alpitour non mi paga ma a suo tempo questa “reclame” ebbe una risonanza enorme, se è vero che ancora oggi quelli attempatelli come me se ne ricordano. Ogni tanto ricordare queste cose ci piace, a noi.
Nella Guida galattica per autostoppisti il buon Douglas Adams dava un unico e sensatissimo consiglio: portatevi l’asciugamano: l’asciugamano, dice, è forse l’oggetto più utile che l’autostoppista galattico possa avere (1)
Il turista de noantri, che non fa autostop ma arriva a Palermo in nave da crociera (ma come si fa?) o in aereo, l’asciugamano lo trova in cabina o in albergo. Quindi, se non vuol fare la figura del fesso per le strade di Palermo, che deve fare, come si deve comportare?
La guida di Douglas Adams reca in copertina il motto “Don’t Panic!”. Anche la nostra: niente paura. Oppure “Accura!”
Ovviamente non mi sono inventato niente (per questa frase leggasi “parlare come un palermitano”) ma ho cercato di sintetizzare i consigli più utili e conosciuti.
ATTRAVERSAMENTI PEDONALI
Il turista medio si riconosce subito: per attraversare la strada utilizza rigorosamente le strisce pedonali ed attende il semaforo rosso. E quando tocca a lui passa. Anzi, siccome nel frattempo gli sprovveduti sono diventati una dozzina, attraversano tutti insieme, con un capobranco munito di ombrellino strategico alzato a mo’ di segnale, e gli altri in fila indiana. Ciò provoca nell’automobilista palermitano, inopinatamente capitato lì, un moto di rabbia interiore che produce un rigonfiamento della vena giugulare esterna e la trasformazione del viso che da pallido diventa paonazzo.
Per cui, per non morire, il panormita è costretto a dare fiato alla sua rabbia dando fondo a tutti gli epiteti conosciuti, che ovviamente qui non riporto, e nei casi più estremi, ad attaccarsi al clacson della macchina che urla disperato.
Quindi, se volete evitare tutto questo e volete confondervi tra la folla, mi raccomando: le strade si attraversano lontano dalle strisce, lontano dai semafori e possibilmente in diagonale.
GIOIA
No, non è un invito all’ottimismo. A Palermo ci chiamiamo tutti gioia. Quindi non temete, cari turisti, se incontrate persone per più di una volta e vi siete dimenticati il nome, basta apostrofarle con “gioia” ed il gioco è fatto. Se vi sembra esagerato, potete sempre usare il diminutivo giò, forse un po’ meno “intimo” ma più da amiconi. Se invece entrate in confidenza potete passare a “gioia mia” o “gioiuzza” o addirittura al materno curò, curù e simili. Mi sarebbe piaciuto dare una origine greca a questo nomignolo, (kouros/κοῦρος – ragazzo, plur. κοῦροι) ma in realtà è il diminutivo di cuore, anzi della frase di senso di compiuto Sei la vita mia, la gioia del mio cuore, che la proverbiale pigrizia declamatoria dei palermitani ha sintetizzato, appunto, in curù.
L’ARANCINA E’ FIMMINA
Questa non ve la spiego neanche, tanto è famosa la diatriba. Ma sicuramente non pensateci neanche ad entrare in un bar, una rosticceria, una friggitoria (minchia quante cose abbiamo a Palermo per mangiare) e chiedere Un ArancinO. Nel migliore dei casi vi beccherete un raggio laser scaturito dagli occhi del banconista che vi fulminerà seduta stante. Anzi in piedi visto che siete al bar, in rosticceria o in friggitoria.
AL BAR
“Non esiste proprio” che si va al bar e si paga “alla romana”. Entrare al bar e pagare ognuno il proprio caffè è quanto di più innaturale possa esistere nella dinamica sociale. A Milano le fanno, queste cose. Ma lì sono tutti tischi toschi (2). Qui no. Ho visto amicizie decennali distruggersi per questo. Il palermitano medio è quello del “tutto pagato mio”, quindi se proprio volete, rivolgetevi alla cassiera comunicandole con fare tronfio “signorina non prenda soldi da questa persona” mentre con le mani trattenete le braccia del vostro ospite e con le altre mani afferrate il portafoglio e estraete una banconota possibilmente di taglio “importante”. I più duri, anzi, tengono un fascio di banconote, con “le” cinquanta euro in cospicuo numero a circondare altri foglietti da 20, piegati in tasca in modo da tirarli fuori (anzi, da uscirli, vedi prossime spiegazioni) con fare pomposo. Minchia, senza soldi siamo ?
Se ancora state contando le mani della spiegazione di sopra, non vi preoccupate. Bisogna essere simili a piovre pluritentacolari per fare quanto descritto.
NON SI SCHERZA SUL PALERMITANO E SU PALERMO
Solo gli autoctoni sono autorizzati a farlo. Non fate mai, dico mai, notare al palermitano un difetto della sua città o dei suoi cittadini. Scatta immediata la reazione, pari a quella di una mamma che di fronte al pericolo stringe a sé i propri figli. Palermo è perfetta, i cittadini sono dei santi e chi ne parla male è prevenuto, è razzista e …“di noi non conosci niente”. Ovviamente il primo termine di paragone diventa il mare. Si, ma tu che parli, dove vai a mare, all’idroscalo? Nell’Adriatico? Quest’ultima domanda verrà “condita” da una espressione “schifiata” del tipo.. uè, milanese, ma che cazzo ne devi capire tu di mare? E ti permetti pure di criticare?
Se proprio volete allargarVi e fare gli spiritosoni, pensate a Johnny Stecchino. A Palermo ci sono – e si possono citare – solo tre grandi flagelli: il vulcano, la siccità e soprattutto il ciaffico. Il resto è tabù.
PARLARE COME UN PALERMITANO
Poche regole ma opportune.
Non esiste distinzione tra verbi transitivi ed intransitivi: tutti reggono il complemento oggetto. Usare un diverso costrutto (anche se corretto in termini grammaticali) ci riporta al punto di sopra: Tischi toschi. E vi qualifica immediatamente come alieni. Non sentirete mai dire ad un palermitano “cara, porto fuori la spazzatura” ma “scendo la munnizza”, cosi come il cane non si porta fuori ma si esce. Giò, io esco il cane.
Amunì, nesci la pila (Andiamo, orsù, tira fuori dal portafoglio i soldini)
Maschile/femminile: l’asciugamani è diventato femmina. Questa non me la spiego neanche io ma da bravi siciliani direte: mi passi la asciugamani, quella bianca ?
Invece la lavastoglie è maschio. Diventa il lavastoviglie. Non chiedetemi perché ma fidatevi. La bavetta, il bavaglino che si mette ai neonati… lo stesso: il Bavetto.
Gli euro sono gli euro, ma solo quando se ne parla in modo generico. Nello specifico i dieci euro diventano le dieci euro, le venti, le cinquanta e così via. Forse nessuno nomina LA cinquecento euro, perché tanto.. chi l’ha vista mai?
Invece (ma non tutti, per fortuna) declinano al femminile la cucchiaia, la salama e la diabete. Del resto, se uno mangia la salama a cucchiaiate potrebbe venire la diabete. Ovvio.
Per il resto: noi non siamo Montalbano. La lingua di Camilleri non esiste, fatevene una ragione.
Baci, Marcello
1) In parte perché è pratico: ve lo potete avvolgere intorno perché vi tenga caldo quando vi apprestate ad attraversare i freddi satelliti di Jaglan Beta; potete sdraiarvici sopra quando vi trovate sulle spiagge dalla brillante sabbia di marmo di Santraginus V a inalare gli inebrianti vapori del suo mare; ci potete dormire sotto sul deserto di Kakrafoon, con le sue stelle che splendono rossastre; potete usarlo come vela di una minizattera allorché vi accingete a seguire il lento corso del pigro fiume Falena; potete bagnarlo per usarlo in un combattimento corpo a corpo; potete avvolgervelo intorno alla testa per allontanare gas nocivi o per evitare lo sguardo della Vorace Bestia Bugblatta di Traal (un animale abominevolmente stupido: pensa che se voi non lo vedete nemmeno lui possa vedere voi – scemo quanto una capra, ma molto, molto vorace); inoltre potete usare il vostro asciugamano per fare segnalazioni in caso di emergenza e, se è ancora abbastanza pulito, per asciugarvi, naturalmente. (Douglas Adams, guida galattica per gli autostoppisti)
(2) Parlare a guisa di fine dicitore, ma tale da suscitare nell’ascoltatore l’impeto di emanare sonora pernacchia)
Mi sono divertito. Quando hai parlato dell’espressione Curò, tanto nota ai palermitani ed ai tifosi del Palermo che le hanno dedicato persino una mascotte-aquilotto di nome “Kurò”, mi è venuto in mente il racconto di un amico che, recatosi in Grecia per una vacanza improvvistata e “alternativa”, mentre mangiava in una bettola vide entrare un ragazzo del luogo, particolarmente atletico, a cui la proprietaria del locale di rivolse appellandolo “kurò”.
Oggi in greco ls parola (kouros/κοῦρος – ragazzo, plur. κοῦροι, al femminile koiré) si legge e si pronuncia: kurò. Altre due volte gli capitarono, mi raccontava, episodi analoghi dove un bel ragazzo popolano veniva definito “kurò”.
Il κοῦρος era il simbolo della bellezza nella scultura attica e della perfezione maschile e femminile, usato come icona della bellezza e riproposto nei secoli in forme più complesse, fino al David di Donatello e di Michelangelo.
Curò palermitano (=curuzzo, cuore mio) in senso sfottente, o Kurò greco (=picciuttazzo, beddu-picciotto) sempre sfottente, possono comunque coesistere e condividere il senso che si vuole dare usando quell’appellativo, alla persona interpellata.
Che ci sia anche qui una lontana reminiscenza del passato?
Grazie Marcello. Come vedi il richiamo a kuro’ c’e’ in bozza, altrimenti l’articolo sarebbe stato lunghissimo. Sulla similitudine Italia (anzi noi, magna Grecia) e Grecia ne abbiamo a lungo parlato. E poi Italiani, Greci una faccia una razza…. Su questo ho da tempo in mente un pezzo che ho già chiamato ‘Vassilissa e le melenzane’ dove si parlerà di tutto, compreso Erasmo da Rotterdam
Un’altra cosa che il palermitano (o meglio la palermitana) declina al femminile sono “le orecchine”.
Mia moglie è assolutamente convinta che anche in italiano si dica così …
Complimenti per il gustoso “affresco” di modi di dire e peculiarità del linguaggio palermitano.
Grazie Marcello !