Petrafennula, di Riccardo Quadrio
Petrafennula
Come è noto, il popolo siciliano è un popolo devoto, e non perde occasione per manifestarlo.
Ogni sacra ricorrenza diventa per i siciliani un momento di fede, da condividere con i propri familiari amici in riunioni di interminabile durata, sostentandosi distrattamente con le talune o talaltre specialità della cucina tipica locale, che gli invitati al raduno si scambiano misericordiosamente.
Fra le tante ricorrenze, particolare attenzione viene dedicata a quella dell’otto dicembre – giorno dedicato all’Immacolata – che sancisce ufficialmente l’apertura delle feste Natalizie, ovvero quel periodo che intercorre dall’otto dicembre al sei gennaio dell’anno successivo, caratterizzato da giornalieri raduni familiari a tema spiritual-ricreativo-enogastronomico atti a celebrare la Nascita di Gesù.
Così come l’Agnellodi pasta di mandorle lo è per la Pasqua, o la Pupaccènalo è per i Defunti, il dolce tipico della festa dell’Immacolata è la Petrafènnula.
Detto dolce è una sorta di torrone di forma cilindrica, della lunghezza di 10-15 cm circa, durissimo, preparato con miele caramellato, confetti di mandorla, scorza di cedro e arancia, e aromatizzato con cannella… prodotto di nicchia ormai quasi introvabile, veniva commercializzato durante gli anni ’70 avvolta a mo’ di caramella in una caratteristica carta azzurra o rosa, con i bordi sfrangiati, così come raffigurato nella foto, tratta da “La cucina siciliana di derivazione araba”, di Tommaso D’Alba (Vittorietti editore, Palermo, 1980).
Il nome di petrafènnula parrebbe essere etimologicamente correlata alla particolare resistenza caratteristica di questo dolce, assimilata metaforicamente a quella della pietra e che per essere rotta deve essere scalpellata. La voce latina fendula è formata dal gerundio del verbo fendere, ovvero da rompere in piccoli pezzi, utilizzando “più che un coltello, un martello!”, come pare che ebbe a dire a riguardo il compianto Leonardo Sciascia.
I miei ricordi vanno alla “Pietra Fendola” della antica Pasticceria Magrì di via Isidoro Carini, dove mio zio Gino acquistava, fedelmente e annualmente, il “simbolo” della festa dell’Immacolata, che veniva annunciato con grande enfasi prima di essere servito a tavola, accompagnato del tradizionale buccellato e dall’immancabile “misto scàccio”.
Come la quasi totalità dei bambini, detestavo quel dolce ‘mpiccicusu e duro com’i cuorna, che poteva essere consumato solo a fronte di un impegno temporale notevole e, comunque, incompatibile con quello che avrebbe potuto essere più proficuamente dedicato a giocare con gli amici e i cugini.
La pietra fendola, infatti, nasconde nel suo essere un qualcosa che non può prescindere dalla variabile tempo, variabile che non può essere compresa appieno – ed è giusto che sia così – da un soggetto in tenera età.
Riscoprii il “simbolo” dell’Immacolata dopo anni, quando mi fu recapitato in quel di Udine – dove all’epoca risiedevo – un pacco contenente alcune natalizie palermitane prelibatezze; da quasi quarantenne, affrontai il dolciume in argomento nel modo dovuto, mettendone in bocca un piccolo frammento e lasciandolo sciogliere fra la lingua e il palato, così da gustarne pazientemente i profumi, e dedicandogli tutto il tempo che lo stesso richiedeva.
Constatai che, come disse Andrea Camilleri nel suo “Elogio”, quel pezzetto di petrafennula “ti obbliga a una sua particolare concezione del tempo, ha bisogno dei tempi lunghi del viaggio per mare o per treno, non si concilia con l’aereo, con la fretta…Ti invita alla meditazione ruminante”…
Rivalutandone la sue potenzialità, osservai: orbene, se la petrafennula induce alla meditazione, e la meditazione induce a non parlare a sproposito, ne consegue che, per la proprietà transitiva, la petrafennula non fa parlare a sproposito… quanto sopra dedotto pare ragionevolmente trovare empirica fondatezza nel vecchio detto: “prima di parlari, mancia petrafennula!”
Mi chiesi (e ancor oggi mi chiedo) come mai la “petrafennula” non venga gratuitamente distribuita alle Buvette di Palazzo Madama e di Montecitorio…
p.s. -“Ti ho portato la petrafèrnula!” Era un dolce oramai difficile a trovarsi, a Montalbano piaceva molto, ma chissà perché i pasticceri non lo facevano più.
(da “Il cane di terracotta”, di Andrea Camilleri. Sellerioeditore, Palermo,1996)