Il povero Lorenzo, di Gabriella Cuscinà
Lorenzo era un tipo atletico, piacente, con spalle larghe.
Non gli mancava nulla poiché era anche molto abbiente, ma era un eterno insoddisfatto e adesso non ne poteva più della sua situazione familiare; infatti era caduto in depressione e aveva deciso di farla finita buttandosi dal tetto della sua villa, il quale tetto era abbastanza alto da assicurargli un decesso immediato. Si trattava però di arrampicarsi lassù con una lunga scala e lui non era mai stato un grande scalatore.
Presa quella solenne e tremenda decisione, s’era alzato all’alba per non avere né spettatori né curiosi e aveva iniziato la fatidica scalata! Soffriva di vertigini e saliva senza guardare giù. Dunque procedeva cautamente e dopo molti gradini, ebbe la visione della finestra del secondo piano sul cui davanzale pensò di mettersi seduto per calmare i battiti del cuore. Ma premendo con forza il piede su un piolo, lo spezzò. Per fortuna era all’altezza del davanzale e vi s’aggrappò terrorizzato, dimentico ormai delle intenzioni suicide. Le gambe erano sospese in aria e, per giunta, con un forte calcio all’impazzata, fece cadere la scala a terra. Si sollevò con tutte le sue forze e si sedette sul davanzale, rendendosi conto di sentirsi male per la paura. Si chiese allora dove trovassero il coraggio i suicidi.
In fondo la situazione della sua vita gli parve meno grave e ingarbugliata di quel che credesse. Appollaiato, s’accorse che la finestra era chiusa dall’interno e quindi era destinato a restare lassù per chissà quanto tempo. Non gli restava che aspettare il passaggio di qualche soccorritore.
Si mise nel frattempo a riflettere sulla strana e insolita piega che aveva preso la sua esistenza, facendolo cadere in depressione.
Aveva ventotto anni e si era innamorato e aveva sposato una vedova di quarantuno, la quale aveva una figlia di ventiquattro anni. Il padre di Lorenzo, vedevo anche lui, aveva conosciuto tale figlia, se n’era invaghito pazzamente e l’aveva sposata. Per cui suo padre era diventato suo genero in quanto aveva sposato sua figlia. E fin qui tutto chiaro, ma sua nuora era diventata sua matrigna in quanto moglie di suo padre. Inoltre lui e sua moglie avevano avuto un figlio, il quale era divenuto fratello della moglie di suo padre, quindi cognato di suo padre. In aggiunta, tale figlio era pure suo zio in quanto fratello della sua matrigna. Suo figlio era dunque suo zio. Come se ciò non bastasse, la moglie di suo padre aveva avuto un figlio, il quale era anche suo fratello poiché figlio di suo padre, ed era anche suo nipote in quanto figlio della figlia di sua moglie. Quindi lui era fratello di suo nipote, e siccome il marito della madre di una persona è il padre di tale persona, risultava che lui era il padre della figlia di sua moglie e fratello di suo figlio. In ultima analisi, lui era suo nonno!
Lorenzo pensava a tutto ciò e provava un senso di nausea e confusione mentale. Ci ripensava e sentiva conati di vomito. Poi improvvisamente rivisse i momenti di disperazione che l’avevano indotto al suicidio e si rallegrò di averci ripensato, altrimenti in quel momento si sarebbe trovato dinanzi al Padre Eterno che lo interrogava: “Chi ha combinato tutto questo macello? Eeh? Chi l’ha combinato?” E lui avrebbe dovuto rispondere: “Io Signore, sono io il responsabile!”
Ihn ogni modo erano le sei del mattino e si trovava a molti metri dal suolo, seduto come un deficiente sul davanzale di una finestra chiusa. Attorno a lui gli uccelli cantavano e trillavano melodiosi, festanti, erano chiassosi, pettegoli e gli stavano attorno con una cordialità eccessiva. Soprattutto un pettirosso, posatosi sull’orlo del davanzale, lo guardava con la testa inclinata da un lato e con molta curiosità. Poi si girò e volò via. Ma non s’assentò per molto tempo. Dopo circa due minuti era nuovamente accanto a lui e continuava a guardarlo come a dire: “Ma vedi questo cretino!” Volava via e tornava ad osservarlo pensieroso. Per cui Lorenzo non ne poté più e si sporse ad afferrarlo, rischiando di perdere l’equilibrio. L’uccellino lanciò un cinguettio di terrore e scomparve per sempre lontano.
Il nostro eroe ebbe tutto il tempo d’ammirare le meraviglie dell’alba: le gocce di rugiada che stanno in equilibrio sulla punta di uno stelo d’erba, e che sfidano le leggi di gravità dondolandosi sui bordi delle foglie e dei petali di un fiore. Vide le rondini che facevano l’amore e dietro i monti, vide spuntare il sole che tingeva il mondo di rosa. Allora pensò a quanto il mondo sia stupendo, a quanto sia meraviglioso l’amore di chi ti ama, meraviglioso il viso di un bimbo che ti sorride, il colore dei fiori quando mescolano il loro viola al fucsia, al lilla, al giallo; meraviglioso lo sbocciare di un cespuglio di rose a primavera! Perché dunque voleva farla finita? La depressione l’aveva indotto a quel gesto, ma doveva reagire, doveva pensare che, nonostante tutto, la vita vada sempre salvaguardata e rispettata.
Verso le sette, sotto di lui risuonò un fischio che aveva qualcosa di umano. Fino a quel momento aveva udito tutto un concerto incessante eseguito da passeri, cardellini, usignoli, canarini, pettirossi, ma quell’ultimo fischio era completamente diverso. Non era più un cinguettio. Era un vero e proprio fischiettare.
Lorenzo guardò giù nonostante le vertigini. Vide allora passare suo cugino Benedetto, che abitava nella villa accanto, con fare baldanzoso e con le mani in tasca.
– Ehi!- gli gridò con quanto fiato aveva in gola. – Ehi!-
Il cugino si fermò. Guardò a destra, guardò a sinistra, poi si girò e guardò dietro di sé, ma non vedendo nessuno, proseguì la sua marcia.
– Ehi! Benedetto! Accidenti. Dico a te deficiente! –
Infine Benedetto guardò in su e vedendo il cugino seduto sul davanzale di una finestra chiusa dall’interno, restò attonito a bocca aperta, immobile come se stesse posando per la statua dello spaventato del presepe.
– Per Bacco! – esclamò- Che diavolo fai lassù?-
– Non ti interessa, aiutami a scendere.-
– Sì, però come ci sei arrivato?-
– Non ti riguarda, aiutami a scendere.-
– Sì, ma come ti è venuto in testa?-
– Non t’interessa, prendi quella scala.-
– Cosa?-
– La scala.-
– Quale scala?-
– Quella che è per terra.
– Dove?-
– Là. Dove guardi? Non lì. Là. Ti dico non lì. Là, là.-
– Ah! Ecco! Là, quella scala là.-
– Sì appunto, prendila.-
– Va bene. L’ho presa, e ora?-
– Mettila qua, sotto la finestra.-
– O. K. Ma perché sei sulla finestra?-
– Tieni forte quella dannata scala e cerca di stare zitto.-
– O.K. Tengo forte. Ma che ci fai sulla finestra?-
Lorenzo si decise a scendere e quando i suoi piedi presero contatto con il suolo, credette di avere realizzato tutti i sogni della sua vita! Il cugino però non si dava per vinto e continuava a chiedere. Dunque bisognava dargli una risposta.
– Avevo visto un nido di rondini sotto la grondaia.-
– Un nido di rondini? A luglio?-
– Sì, perché?-
– Perché le rondini non fanno il nido a luglio.-
– Beh, queste avevano deciso di farlo a luglio.-
– Ma neanche per sogno! Fanno il nido ad aprile.
– Le rondini che ho visto io, lo fanno a luglio.-
– Tu sei scemo e visionario. Piuttosto siamo sicuri che non fossi salito con l’intenzione idiota di fare un bel voletto?-
Lorenzo, a questo punto, rimase interdetto e disse: – Ma che voletto! Piantala, lasciami in pace.-
– Io temo proprio che la tua intenzione fosse quella. Tu non hai mai pensato, caro cugino, a quanto la vita sia bella. Quando pare che il mondo ti crolli addosso, devi convincerti che a tutto c’è rimedio, tranne che alla morte. La vita va difesa sempre perché è il dono più prezioso che abbiamo ricevuto. Non buttarla mai la tua vita, Lorenzo, non te ne sarà data mai un’altra in cambio.-
Queste parole coincidevano con gli ultimi suoi pensieri; comunque il dialogo increscioso terminò perché lui girò le spalle e se n’andò lasciando il cugino perplesso e preoccupato a riflettere sulla sua depressione e sul fatto che l’aria insalubre della sua famiglia allargata ne avesse minato la povera psiche.