La mafia a Milano ai tempi di Don Abbondio e Don Rodrigo? di Marcello Troisi
Ma cosa dici: a Milano la mafia esisteva già a quei tempi?!
Ma come… la mafia non è siciliana?!
Direi di no, non è siciliana, o almeno non soltanto siciliana e il grande Alessandro Manzoni ce ne da un saggio.
Alessandro Manzoni pubblica il suo romanzo storico “I promessi Sposi” ambientato in Lombardia fra il 1628 e il 1630, mentre la Peste si diffonde a Milano.
Tutti ricordiamo dai libri di scuola, oltre ai due protagonisti Renzo e Lucia, personaggi rimasti nella memoria collettiva, come l’Azzeccagarbugli, Frà Cristoforo, Don Abbondio, l’Innominato, Don Rodrigo e i Bravi.
I Bravi: chi erano?
Se il romanzo fosse stato ambientato in Sicilia la risposta sarebbe ovvia e immediata: due “picciotti” al soldo di un prepotente mafioso di campagna.
Infatti erano proprio questo, cioè due “bravi” al soldo di un prepotente mafioso di campagna, però comasco non siciliano, infatti Don Rodrigo aveva le sue campagne non distante da Lecco, sul lago di Como.
Se fosse vissuto a Palermo, Alessando Manzoni si sarebbe chiamato Sasà.
Di Don Rodrigo Sasà racconta poco. È certamente spagnolo e molto ricco.
E’ prigioniero della sua classe sociale: infatti nel rapimento di Lucia ci si è messo per scommessa con il cugino Attilio per una questione di onore e vi rimane sino in fondo pur capendo la stupidità del proprio gesto. Ha paura di perdere il rispetto e di non essere considerato all’altezza della situazione.
Onore, rispetto… tutte parole che conosciamo bene e che i racconti di mafia ci hanno insegnato da tempo.
Così lo descrive Sasà: …Don Rodrigo […] era lì in capo di tavola, in casa sua, nel suo regno, circondato d’amici, d’omaggi, di tanti segni della sua potenza, con un viso da far morire in bocca a chi si dia una preghiera, non che un consiglio, non che una correzione, non che un rimprovero…
Don Rodrigo invia i suoi sicari a intimidire il pavido Don Abbondio e la descrizione dell’episodio che ne fa Sasà rientra nella migliore tradizione di stampo mafioso.
Due uomini stavano, l’uno dirimpetto all’altro, al confluente, per dir così, delle due viottole…
[…] non lasciavan dubbio intorno alla lor condizione.
[…] a prima vista si davano a conoscere per individui della specie de’ bravi.
Che i due descritti di sopra stessero ivi ad aspettar qualcheduno, era cosa troppo evidente; ma quel che più dispiacque a don Abbondio fu il dover accorgersi, per certi atti, che l’aspettato era lui.
[…] Or bene, – gli disse il bravo, all’orecchio, ma in tono solenne di comando, – questo matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai.
[…] Uomo avvertito… lei c’intende.
[…] E sopra tutto, non si lasci uscir parola su questo avviso che le abbiam dato per suo bene.
Tutta la dinamica del racconto è una storia “siciliana”: la minaccia/consiglio, il rapimento, l’aiuto inesistente della giustizia corrotta, la posizione della Chiesa, l’ammazzatina, intervento del Padrino. Non manca nulla. Soltanto che si svolge a Milano.
Immaginando i personaggi austeri e sprezzanti della Milano seicentesca, risuonano nelle orecchie le parole del ben più moderno Don Mariano ne “Il giorno della civetta” di Leonardo Sciascia: “Uomini, mezz’uomini, ominicchi, pigliainculo e quaquaraquà”.
Anche Don Mariano è un Don, termine che attribuiamo ai mafiosi siciliani ma il dizionario ci dice questo:
DON: […] fra i laici, riservato un tempo ai soli principi e membri dell’alta nobiltà di Spagna e di Portogallo, si estese poi, anche in Italia, a ogni persona di riguardo, non necessariamente nobile, spec. nel Meridione.
La matrice del termine è dunque Spagnola.
Qualcuno potrebbe pensare ad una coincidenza perché i farabutti sono esistiti in tutti i tempi, purtroppo in realtà il caso non c’entra perché la dominazione spagnola nel Regno di Sicilia (1516 – 1713) coincide con la dominazione spagnola nello lo Stato di Milano (1525 – 1700).
Siamo dunque in piena dominazione spagnola sia a Palermo che a Milano e Don Rodrigo ne è lo specchio del suo tempo, tempo di cui Manzoni ha lasciato il quadro più completo che sia mai stato fatto, dove dinamiche sono identiche sia al meridione che al settentrione.
Don Rodrigo non era un padrino ma solo un boss: il Padrino era l’Innominato.
L’Innominato è un personaggio di grande coerenza interiore e con definite caratteristiche psicologiche. La generosità nativa, la grandezza e alterigia, che sono il fondamento del suo carattere non si smentiscono mai e vuol essere grande sia nel male che nel bene, un vero padrino che interverrà d’imperio al disopra di Don Rodrigo, avendo anche ampio potere al disopra di altri individui simili.
Ma a quel tempo la mafia non avrebbe potuto governare liberamente e impunita perché esisteva anche la Giustizia. Chi cadeva sotto il controllo della Giustizia passava guai seri. Robetta tipo tortura, catene, e altre amenità.
Sasà racconta che se, durante un interrogatorio, un imputato non veniva creduto, le sue affermazioni venivano definite come “inverisimile!” e allora egli impallidiva al solo pensiero di cosa stesse per capitargli.
Putroppo, i delinquenti potevano ugualmente farla franca.
Il sistema giudiziario di allora aveva infatti inventato i pentiti molto prima dei giorni d’oggi.
Il nostro Sasà, nel romanzo “Storia della Colonna Infame”, ambientato nello stesso periodo, denuncia il ricorso alla impunità come strumento investigativo e giudiziario.
[…]Dove non giunge la tortura, giunge la promessa di libertà o di indulgenza in cambio di informazioni e denunce: Si tratta di prassi antica e consueta, quella dell’impunità degli accusati, definita in termini chiari in ambito giuridico…
Non stupiamoci di nulla perché non abbiamo inventato nulla. Né altrove, né tanto meno in Sicilia.
Probabilmente, anche delle cose più belle che ci sono in Sicilia, non abbiamo creato nulla.
Noi che viviamo in questa Regione d’Italia, non abbiamo alcun merito se non quello di averle curate e conservate. Siamo un popolo di origini miste e multietniche in modo ancestrale: ogni dominazione ci ha regalato qualcosa di meraviglioso.
La mafia? Esiste ma non l’abbiamo inventata, infatti c’era altrove e nello stesso preciso momento. A inventarla saranno stati gli Spagnoli, i Normanni, gli Arabi, i Romani… chissà. E’ un fenomeno che cambia e si adatta ai tempi ma che tutti vorremmo che sparisse.
Il bello invece non cambia e resta.
Il bello, che tutti i popoli nel tempo ci hanno donato, rimane e qui viene custodito.
Marcello Troisi