‘Bianca comu nivi, russa comu focu’… Pitrè riletto da Paola Pace La Pegna

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Giuseppe Pitré rimane ad oggi uno dei palermitani che piu ha dato lustro alla nostra città, ed oggi vogliamo omaggiarlo pubblicando una versione leggermente ridotta di una delle sue novelle più famose:
‘Bianca come neve, Rossa come fuoco’…
Ho scelto questa novella perché, pur essendo stata scritta circa due secoli fa da un uomo del profondo sud come fu Giuseppe Pitré, si evince, leggendola, uno spirito femminista antelitteram ed una riconoscimento all’ intelligenza, all’ arguzia ed al senso pratico della protagonista che lasciano, se non sbalorditi, almeno piacevolmente sorpresi..
In questa favola, inizialmente il protagonista sembra il principe, ma ben presto la nostra eroina prende il sopravvento, tenendo saldamente in mano il bandolo della matassa e lo svolgimento dell’azione…
Stranamente, a differenza della maggioranza quasi assoluta delle favole della nostra infanzia, qui è la donna che si salva da sola e salva anche il suo amore… Insomma, Pitré inventò la ‘Principessa azzurra’, a riprova del fatto che, come sempre, se l’ uomo porta i pantaloni, è la donna che decide taglia, colore e stoffa… E che già nel 1800 in Sicilia se ne fossero accorti, a me sembra una gran bella cosa…
Buona lettura.

C’erano una volta un Re e una Regina. Che non avevano avuto ancora un figlio, così fecero un voto per averlo: promisero che se mai fosse nato un maschio o una femmina, avrebbero costruito due fontane: una che emanasse vino per sette anni, e l’altra, olio. In seguito, la Regina restò incinta e partorì un bel maschietto. Dopo la nascita del piccolo, cominciò la costruzione di queste due fontane, e tutta la gente andava ogni giorno ad attingere vino e olio, fino a che, sette anni dopo, le fontane s’inaridirono.

Volendo una draga (strega mangiabambini in siciliano antico) raccogliere le ultime stille che colavano, la vecchiò andò con una spugna e una brocca, inzuppando la spugna e spremendola nella brocca.

Dopo aver riempito la brocca a forza di spremere, il principino, che stava giocando a bocce lì vicino, per dispetto gliene tirò una sulla brocca, rompendola.

Come la vecchia vide tutto questo, gli disse: «Senti, non posso farti niente perché sei figlio di Re; ma ti maledico: che tu non ti possa sposare fino a quando non troverari la Bianca-come-neve-rossa-come-fuoco!»

Il piccoletto, scaltro, pigliò un foglio di carta, vi trascrisse le parole della vecchia, conservò il biglietto in un cassone e non ne parlò più.

Quando ebbe diciott’anni, il Re e la Regina lo volevano fidanzare, ma il giovane si rammentò della maledizione ricevuta dalla vecchia; andò a tirare fuori il biglietto e disse: «Se non trovo la Bianca-come-neve-rossa-come-fuoco, non mi sposo!»

E così, si congedò dai suoi genitori e si mise in cerca della sua promessa sposa. Cammina cammina, passarono i mesi senza vedere anima viva.

Una sera, stanco e disperato, vide una campagna oscura con una gran casa nel mezzo. Sul far del giorno appreso vide giungere una mammadraga, grande e grossa da far paura, che chiama: «Bianca-come-neve-rossa-come-fuoco, cala le trecce quando ti chiamo!»

Il principe, nel sentir dire così, sentì il cuore schizzargli in petto, ed esclamò: «È lei, è lei!» Bianca-come-neve-rossa-come-fuoco mandò giù le sue trecce che erano lunghissime e non finivano mai; la mammadraga s’attaccò a quelle trecce, e s’arrampicò.

Mangiò di gusto, mentre il giovane stava nascosto di vedetta sotto a un albero. L’indomani la mammadraga ridiscese, ed egli, appena la vide andar via, uscì dalla sotto albero e gridò: «Bianca-come-neve-rossa-come-fuoco, abbassami le trecce che salgo su!» ed ella, credendo che fosse sua madre (così chiamava l’ orchessa ) si sciolse le trecce e il Reuccio, svelto svelto, vi s’arrampicò.

Quando fu su, le disse: «Ah, sorellina mia, sapessi che fatica ho fatto per trovarti!» e le raccontò per filo e per segno della maledizione che gli aveva lanciato quella vecchia quando aveva appena sette anni.

Ella gli diede da mangiare, e poi gli disse: «Sta’ attento, che se la mammadraga torna e ti trova qui, ti mangia. Vatti a nascondere.» Poco dopo tornò la mammadraga, e subito il Reuccio si nascose; l’ orchessa cominciò a dire:

«Bianca-come-neve-rossa-come-fuoco, calami le trecce che vengo su!»
«Vengo subito, madre mia!», e la ragazza si mise a correre per accattivarsela e per tenersela buona.

Mandò giù le trecce e la draga s’arrampicò. La fanciulla le fece trovare il mangiare bell’e pronto, e mangiarono. Dopo aver mangiato, la fece bere bere fino ad ubriacarsi. Quando la vide ben rifocillata, le chiese: «Madre mia, per poter uscire da qui, che cosa dovrei fare? Non che voglia uscire: io voglio stare con voi, ma giusto per curiosità. Me lo dite?»

«Per uscire di qua» disse la mammadraga, «che ci vuole? Devi fare un incantesimo su tutta la stanza, cosicché io perda tempo; poi, quando ti chiamo, anziché rispondere tu, mi risponderanno la sedia, lo stipo, e il cassettone; io non ti vedrò comparire, e salirò. Tu dovrai prendere i sette gomitoli di filo che tengo da parte; quando io verrò e non ti troverò, ti verrò a cercare: come ti accorgerai d’essere inseguita, getta il primo gomitolo, e così poi quell’altro, fino a quando li avrai srotolati tutti. Ma io continuerò a seguirti per raggiungerti.

La ragazza, astutamente, ascoltò ogni parola della mammadraga e la conservò nella sua testa e stette in campana.

L’indomani la mammadraga uscì, e Bianca-come-neve-rossa-come-fuoco insieme al Reuccio fecero tutto quello che c’era da fare.

Girarono per tutta la casa: «Tavolino, se viene mia madre, rispondile tu; sedia, se viene mia madre, rispondile tu. cassettone, se viene mia madre, rispondile tu.» E così via.

Stregò tutta la casa, e poi, insieme al Reuccio uscirono e scapparono più veloci di un fulmine. Arriva la mammadraga e chiama: «Bianca-come-neve-rossa-come-fuoco, mandami giù le trecce che vengo su!» Rispose il tavolino: «Vengo, subito, mamma!» Attese un pochino, ma non arrivava nessuno, così, disse di nuovo: «Bianca-come-neve-rossa-come-fuoco, mandami giù le trecce che vengo su!»

E fu la sedia a rispondere: «Vengo, vengo, mamma!» Aspettò un altro po’, ma non venne nessuno; chiamò un’altra volta, e rispose il cassettone: «Vengo subito, mamma!» E intanto, i due, zitti zitti, continuavano a correre.

Quando non ci fu più nessuno a rispondere, la mammadraga gridò:
«Tradimento!» Pigliò una scala, s’arrampicò di sopra, e vide che non c’erano né la ragazza, e neppure i gomitoli.

«Ah, scellerata! Me ne debbo bere il sangue! Così dicendo, si dette all’inseguimento della ragazza. Ad un certo punto l’avvistò, e, sapendo che se ella si fosse voltata, sarebbe rimasta pietrificata, cominciò a gridare: «Bianca-come-neve-rossa-come-fuoco, voltati quando ti chiamo!»

Quando la draga fu vicina, Bianca-come-neve-rossa-come-fuoco lanciò il primo gomitolo, e subito apparve una montagna alta alta. La draga però non si lasciò fregare, la scalò, e per poco non li raggiunse.

Bianca-come-neve-rossa-come-fuoco, vedendosi quasi raggiunta, buttò il secondo gomitolo e subito comparve una pianura piena di lame e di punti di coltello. La vecchia, tutta ferita e insaguinata, continuò a correre dietro ai due.

Quando Bianca-come-neve-rossa-come-fuoco si vide di nuovo tallonata, lanciò il terzo gomitolo, e comparve un fiume così grande e grosso da far paura; la mammadraga vi si buttò dentro, uscendone mezza morta. Dopo il quarto gomitolo, ecco spuntare una fontana con tantissime vipere; alla fine, distrutta per la stanchezza la strega non poté più proseguire, sicché mandò un’imprecazione a Bianca-come-neve-rossa-come-fuoco, dicendo: «Il primo bacio che la Regina darà a suo figlio, che il Reuccio si possa scordar ti te!»

Detto questo, non potendone più, per il gran sforzo fatto rimase senza un briciolo di fiato nei polmoni e morì.

Cammina, cammina, i ragazzi arrivarono a un paese poco distante dal palazzo del Reuccio, che quale disse a Bianca-come-neve-rossa-come-fuoco: «Sai cosa ti dico? Tu non ti muovere da qui, che sei troppo malridotta; io vado a prenderti dei vestiti nuovi, così posso presentarti al meglio a mio padre e mia madre.».

Così ella rimase lì da sola. Quando la regina vide tornare il figlio, subito gli si buttò tra le braccia per baciarlo; «Madre mia,» disse il figlio, «ho promesso che non mi sarei fatto baciare, e ogni promessa è debito.»

Poveretta sua madre, ci restò di sasso. Una notte, mentre egli dormiva, la madre, che moriva dalla voglia di dargli un bacio, entra nella sua camera e lo bacia; e come la madre baciò il figlio, egli si scordò di Bianca-come-neve-rossa-come-fuoco..

Fu così che la povera ragazza, che si ritrovò improvvisamente abbandonata senza neppur sapere dove si trovasse.

Venne una vecchia, e vide sta poveretta, bella come il Sole, che piangeva: «Che hai, figlia mia?» «E che c’ho? Manco io so come sono arrivata qui!» «Non disperarti, figlia mia, e vieni con me.» E se la portò a casa. La giovinetta era abile nei lavori manuali e aveva il dono della magia. Faceva lavori di cucito e ricamo, e la vecchia mano mano li vendeva, e così campavano tutte e due.

Un giorno Bianca disse alla vecchia che aveva bisogno di alcune vecchie pezze di stoffa del palazzo, per un lavoro che doveva svolgere. Si recò al palazzo, e lì cominciò a domandare a destra e a manca di quelle pezze; e tanto fece e tanto disse, che alla fine le trovò.

La vecchia aveva due colombi, maschio e femmina, e con le pezze che aveva preso, la Bianca cucì dei vestitini per questi colombi, così graziosi, che erano una meraviglia per gli occhi.

Prese i due colombi, gli parlò all’orecchio e disse: «Tu sei il Reuccio, e tu sei Bianca-come-neve-rossa-come-fuoco. Il re è a tavola che mangia; voi due volate da lui, e raccontategli tutto quello che avete passato.» E mentre il Re e la Regina, il Reuccio e tutti quanti erano a tavola a mangiare, ecco che giunsero sti bei colombi e si posarono sulla tavola. «Oh, che belli!» e tutti a far festa ai due colombi. Cominciò a parlare la colomba che raffigurava Bianca-come-neve-rossa-come-fuoco, e disse:

«Lo sai che tuo padre promise una fontana d’olio e una di vino in cambio della tua nascita?»
E il colombo rispose: «Sì che lo so.»
«E ti ricordi di quella vecchia che ti scagliò la maledizione, ossia che non ti saresti sposato se non avessi trovato la bella Bianca-come-neve-rossa-come-fuoco?»
«Sì che mi ricordo» rispose il colombo.

Insomma, la colomba cominciò a rievocare tutto quello che avevano vissuto; all’ultimo, gli disse: «E ti ricordi che la mammadraga ti maledì dicendoti che al primo bacio di tua madre ti saresti dimenticato di Bianca-come-neve-rossa-come-fuoco?»

Appena sentì parlare del bacio della madre, ecco che il Reuccio si ricordò tutto quanto, mentre il Re e la Regina osservavano sbalorditi la scena. Terminato il discorso, i due colombi volarono via. «Presto, presto, guardate dove vanno!» disse il Principe.

I servi s’affacciarono e videro i colombi che erano andati a posarsi sul tetto di una casetta di campagna. Il Reuccio corse verso la casetta, e ci trovò Bianca-come-neve-rossa-come-fuoco.. Quando la vide, le si buttò ai piedi piangendo: «Oh sorellina mia, quanto hai patito per colpa mia!» Le fece indossare degli splendidi abiti, e, la fece salire in carrozza e la scortò al palazzo dove, senza perdere altro tempo, si sposarono.

E furono felici e contenti
mentre noi siamo qui a pulirci i denti.

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