Pettirossi, tartarughe e cotton fioc: il nuovo indirizzo di studi per una professione del futuro! (parte II, a cura di Daniela Campobello)
Ciao a tutti.
Vi avevo anticipato che di Biologia della Conservazione avremmo continuato a parlarne. Nel precedente articolo abbiamo introdotto l’argomento, ma ora è tempo di fare le cose per bene, e quindi lascio stravolentieri all’altra wonder woman (ma quando dormono, ‘ste due?) Daniela Campobello.
Qualche giorno mi sa che mi devo mettere alla pari con queste amiche mie (Rosanna e Daniela…) che mentre gli altri dormono si “strumintiano” su come cambiare il mondo…
(per chi lo avesse perso, ecco il link al primo articolo:
E’ sempre un grande piacere ed onore parlare ad una platea di maturandi. Ma è anche una grande responsabilità il cercare di fare breccia nella loro apparente impermeabile scorza e potenzialmente influenzare le loro scelte future. L’argomento di cui parlavo tuttavia mi ha alleviato un pò da questo peso perchè presentare il nostro nuovo corso di laurea, e quindi cercare di promuovere la formazione dei futuri biologi della conservazione, be’, è un obiettivo di cui loro stessi beneficeranno, e tanto.
La transizione ecologica e la sostenibilità ambientale, da raggiungere anche attraverso la tutela della biodiversità, sono finalmente diventati ‘virali’; non c’è giorno che passi senza che sentiamo accorati auspici che ciò possa avvenire con la massima urgenza. E con la massima urgenza dobbiamo formare professionalità che siano in grado di farlo. Non sono professioni che si imparano per strada, necessitano di approfondite conoscenze e indubbie competenze.
Il biologo, tradizionalmente visto in camice a ‘pipettare’, se specializzato nella conservazione della biodiversità, ha una connotazione estremamente multidisciplinare, dinamica e sicuramente non preda di un’annoiata routine quotidiana. Inizia il suo lavoro pianificando una strategia per poter prevenire l’estinzione di una specie a rischio, per limitare i danni di una specie aliena, per rendere innocue specie nocive. Lo fa attraverso la valutazione di fattori che ben conosce di quella specie, la sua interazione la comunità, il suo comportamento, la sua strategia riproduttiva, il tutto analizzato con i più avanzati mezzi tecnologici come il GIS (Geographic Information System), ma anche nella piena conoscenza delle norme giuridiche ed economiche che regolamentano la gestione ambientale e cercando di sempre rimanere all’interno della grande e nuova consapevolezza del green deal europeo. Pianificato un progetto, si passa alla sua esecuzione e a questo punto il biologo della conservazione deve inforcare i suoi scarponi e iniziare la raccolta dei dati, per esempio, monitorando l’efficacia di un corridoio ecologico artificiale oppure catturando esemplari per tracciarne i movimenti attraverso device satellitari e raccoglierne campioni biologici. Con questi ultimi finalmente approda in laboratorio all’interno del quale deve essere capace di analizzare il microbioma intestinale o quantificare gli ormoni dello stress. Finisce qui? certo che no! Il biologo della conservazione deve essere alfiere e ambasciatore della tutela della biodiversità. Deve riuscire a comunicare al pubblico non solo i risultati delle sue ricerche ma anche sensibilizzare verso pratiche virtuose attraverso i social media, nelle scuole, nelle piazze.
Ok, è divertente, entusiasmante e poi? riesce ad essere anche un lavoro? Oggi, sembrerebbe proprio di sì. E’ una professione altamente specializzata che diventerà sempre più richiesta. Come esempio ultimo, è notizia dei giorni scorsi che il PNRR ha stanziato 100 milioni per digitalizzare le riserve e aree protette. I biologi della conservazione rientrano tra quelle categorie di operatori in grado non solo di eseguire la digitalizzazione di un’area ma anche di saper sfruttare queste tecnologie per poter eseguire un’efficiente gestione del biota presente all’interno delle stesse aree.
Il biologo della conservazione deve in ultimo essere sempre in grado di mettersi a confronto con tante realtà e cercare sempre nuovi modi di collaborazione. Sono molto grata a Rosanna Crivello e la Dirigente Scolastica Graziella La Russa che hanno reso possibile proprio questa ‘contaminazione’ all’interno dell’auditorium dell’Istituto Almeyda-Crispi. Oltre a me e al collega Mario Lo Valvo in rappresentanza del Corso di Studio in Biologia della Conservazione, erano infatti presenti l’amico Marcello Mussolin di Palermo Felicissima che ha evidenziato come la tutela passi anche attraverso una rivisitazione culturale delle nostre abitudini e Vanessa Rosano di Legambiente che ha reso possibile la concretizzazione di concetti come scienza partecipata o citizen science. E naturalmente gli alunni che erano lì, target primo dei nostri interventi, che spero siano riusciti a trasformare quanto sentito in un piccolo pezzo del loro personalissimo puzzle bramoso di indicazioni, certezze e speranze.
Adesso sta a loro capire dove va messo.”
(Daniela Campobello)