Cuore verde di un randagio, di Claudia Mazzola

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cuore verde di un randagio

Pubblichiamo volentieri un racconto della nostra amica Claudia, augurandole tanti ulteriori successi editoriali! Ma che brava!

Premio “Natale Patti” IV ed. Social Edition, Concorso Nazionale di narrativa per racconti brevi su tema “Buon giorno notte (benvenuta luce)”

In principio era stato come una specie di offuscamento, una sorta di mortificazione ad uso interno, come un dettaglio rimasto incagliato nella coscienza degli ultimi istanti, ma non abbastanza potente da risalire il ricordo.

Mi guardo intorno nella notte trasparente, osservo confuso le sagome delle case moltiplicarsi lungo orizzonti senza fine, panorami consentiti solo ai colombi ed ai chicchi di grandine. Dal marciapiede dei numeri dispari un gatto mi lancia una occhiata sulfurea, io sento scorrere qualcosa tra le zampe e la coda, la sento accumularsi come ombre di muffa tra gorgoglii di spuma. Brucia tantissimo.

Un incendio risale il mio corpo ed io voglio solo arrendermi al mio scheletro di brace. Del resto sapevo da sempre che un giorno sarei morto di infezione intestinale, cimurro o FIAT Panda.


Poi d’un tratto, insieme al ricordo sento arrivare la consapevolezza di trovarmi all’inizio della sottrazione, così, in equilibrio sull’eco di un singhiozzo, ripasso per attitudine e decisione la trama e l’ordito della mia vita.

Quello della mia infanzia era un mondo molto più azzurro, somigliava a certi cieli riflessi nelle pozzanghere sul finire dell’estate.

Ultimo di una cucciolata, frutto di un amore clandestino, fui messo in strada da un uomo con lo sguardo duro come il cemento, “non vivrai un giorno di più” ammoniva, soppesando tra le mani il mio corpo gracile, “questioni molecolari” spiegava con un sorriso da sciacallo, ed invece io mutai come crisalide in randagio senza piegarmi alle circostanze, la sconfitta che colpisce dall’interno non ha mai raggiunto il bene ubicato nel mio cuore. Superai abissi di solitudine e indifferenza cercando sostegno ove potevo.

Puzzavo di fame ed odoravo di amore.

A trovare il mio cuore fu per prima una donna non più giovane, abitava in un vicolo chiuso, vestiva come Mata Hari ed aveva l’incedere di una ballerina di tango. Amavo il suo sorriso appuntito ed il suo odore forte e a lei piaceva lisciarmi il pelo sui fianchi tutte le volte che spingevo il muso contro la coppia di basilischi che erano le sue ginocchia. La mia natura nomade e curiosa ebbe comunque il sopravvento su quello ed altri incontri.
Il desiderio di una esistenza errante mi dominava con la prepotenza di uno sbadiglio ed io lasciavo che a guidarmi fosse il colora verde o il lato soleggiato di una strada, avanzando verso orizzonti che sapessero di pancetta e pane appena tostato.

Dentro di me abitava una curiosità scabrosa, una calma velenosa e torbida che mi portava a sognare di infrangere vincoli e abitudini specialmente da sveglio.

Mai avrei immaginato di legare il mio cuore e sacrificare la mia libertà ad un estraneo, ma allora ignoravo come tutto ciò potesse risolversi in mera dialettica, subito demolita dall’amore. L’incontro che avrebbe segnato indelebilmente la mia stessa esistenza avvenne durante una notte.

L’aria satura di pioggia conferiva un aspetto quasi marino ai pochi che si avventuravano fuori sfidando il fortunale, protetto dal mio riparo improvvisato, osservavo distratto quella processione di corpi derelitti smarrirsi come pesci appena varcato il limite oscuro dell’illuminazione comunale. Dalle grate di un bettola nei paraggi si sprigionavano vapori densi e molesti come la tosse dei vecchi, ma io non ci badavo, osservavo affascinato due gatti che si fronteggiavano vicino a me spidocchiandosi con attenzione. Ero ormai prossimo alla dimensione che precede il sonno, quando fiutai una presenza nuova insinuarsi al mio fianco senza alcun riguardo.

L’intruso dotato di una mole non indifferente, si paleso all’improvviso in quel regno misterioso e lunare quasi fosse un angelo fiammingo. Mi rovino addosso ridendo come un pazzo, brandendo tra le mani un involucro nero e pesante che custodiva una fisarmonica. Allungo rapido una mano come per bloccarmi ogni via di fuga mentre il mio cuore batteva convulsamente, ma le sue intenzioni non erano bellicose, anzi, sembrava fosse preoccupato che restassi all’asciutto, lontano dalla nuda spianata e dalla pioggia battente. Mi voltai a guardarlo sorpreso da tanta attenzione dopo la sua apparizione così repentina e brusca, paralizzato dalla paura concentrai la mia attenzione su di lui. Il suo corpo adesso traboccava da una sedia recuperata chissà dove e mi fissava con un’espressione allegra e complice, scuotendo lontano la brace di una sigaretta appena accesa.

Come anime simili che si incontrano pari e nude, inspirai quell’odore molle di tenerezza a quattordici gradi e non so quanto tannino, che risali l’incavo delle mie narici, bruciò in un secondo tutti i miei pensieri e si sistemò per sempre nel mio cuore. La certezza folgorante che la cenere che mi ricopriva l’anima si dissolvesse al tocco di quelle dita, segnò quell’attimo e più in generale l’intera epoca zenitale della mia vita. Restai con lui quella notte e molte altre ancora, ed il tempo fluiva dolce come pasta di arancia e cioccolata finissima. Imparai il suo odore ed il nome che usava per richiamare la mia attenzione, tutto mi diceva che se avessi provato a recuperare la mia indipendenza avrei smesso di sentirmi libero.

Ebbe origine così lo strano sodalizio tra me e l’essere umano che avevo scelto.

Come mondi distanti ed all’apparenza inconciliabili che per magia si riconoscono nel profondo, cessammo di essere estranei. Insieme vagammo per locali dove l’alcool colorava i cristalli ed anche se spesso venivo cacciato, restavo sempre nelle vicinanze, prigioniero di quella musica che brillava come fosforo, fabbricando Arcadie su un’esistenza fatta di tiepidi giacigli e costolette di manzo.

Ma la buona sorte poco si accorda con chi e disposto a dislocarsi, sacrificando ogni privilegio, così accadde che la nave che custodiva i miei sogni, naufragasse su scogliere di ambizione e aspirazioni di successo. All’improvviso la concitazione per il fato generoso ed i mille progetti che sottendevano distanze, apparecchiarono orizzonti di gloria lastricati di opali e zaffiri e nessuno di questi comprendeva la presenza di un randagio. Come coloro che hanno patito la defezione di un amore rimpicciolivo, smarrendomi nelle sue pupille vuote, cercando invano un appiglio per risalire l’abisso dove le pause tra le sue parole mi avevano precipitato.

Sapevo dei tanti abbandoni subiti dai miei simili, ma di norma preferivo distogliere l’attenzione da quelle voragini di dolore. Un senso orgoglioso di indipendenza trasformava quell’eventualità nell’arroganza che mi spingeva a vivere come vivevo.

La sua voce conteneva un veleno dolce mentre scansava i miei tentativi di accostarmi a lui con i pensieri pieni di carezze perdute e nel cuore il fragore favoloso del sangue.

Non mi arresi finché sentii cedere anche l’ultimo frammento del mio essere in risposta al rumore dell’auto che lo portava via.
Ed ecco la corsa discendente del pistone, la mano che strappa via il cellophane dagli occhi e ti scuote dall’immobilità, dall’ipnotismo.

Costrinsi il mio corpo a reagire e mi lanciai all’inseguimento di quel cofano, l’uomo che mi aveva attraversato l’anima scavando la pietra dura della mia indipendenza era ormai lontano, ed io sentivo i colori colarmi giù dagli occhi.

Forse per questo non la vidi arrivare. Il fato mascherato da FIAT Panda con cerchi 155/70/13 alimentata a benzina piombò su di me con una potenza devastante, lanciandomi ben oltre la siepe che bordeggiava lo spartitraffico.

La luce che precede l’alba si fa già spazio nel cielo mentre esamino cosa resta di me, in questa aurora livida saluterò Caronte venirmi incontro attraversando scie di alghe in piedi su una culla, troverò la pace finalmente diventando terra di nessuno, dando il buon giorno alla mia ultima notte e porgendo il benvenuto a quella luce che già sembra splendere sulla mia pelliccia.

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